Tra la destra della Meloni e quella di Letta c’è vita a sinistra: la terza via sono i 13 milioni di italiani dimenticati dall’Agenda Draghi
Tra la destra di Giorgia Meloni e quella mascherata, finto progressista, di Enrico Letta c’è vita a sinistra? Partiamo dall’inizio. «È precisamente questo che intendiamo, quando diciamo che il Partito democratico è un partito “a vocazione maggioritaria”: un partito che punta non a rappresentare questa o quella componente identitaria o sociale, per quanto ampia possa essere, ma a porsi l’obiettivo di carattere generale di conquistare nel Paese i consensi necessari a portare avanti un programma di governo, incisivamente riformatore».
Il Pd e l’Agenda Draghi. Era l’agosto 2007 quando Walter Veltroni, lanciava la rivoluzionaria idea del Partito democratico. Quel partito a vocazione maggioritaria che maggioritario nel Paese non è mai stato, sebbene abbia governato per una decina d’anni degli ultimi 15 alleandosi praticamente con tutti (tranne l’estrema destra). Ciononostante, oggi i dirigenti del Partito democratico continuano a perseverare nella formula della vocazione maggioritaria per sposare l’Agenda (del banchiere) Draghi, completando così l’opera di distruzione della sinistra italiana avviata a suo tempo da Veltroni e che, dopo la parentesi di Zingaretti, ora Letta ha scelto di portare avanti.
Elezioni anticipate e sondaggi trappola, Bruno Vespa mette in guardia il centrodestra
Le elezioni anticipate sembrano parlare la lingua del centrodestra. La coalizione di Meloni, Salvini e Berlusconi si prepara all'appuntamento del 25 settembre col vento in poppa. I sondaggi sono tutti dalla loro parte ma c'è chi li mette sull'attenti. Non è sempre tutto come sembra. Secondo il conduttore di Porta a Porta le rilevazioni "vanno prese con cautela sia perché non sono sempre giusti, sia perché il 25 settembre è ancora estate e tradizionalmente l'elettore di centrodestra - se non motivato in modo formidabile - si rifiugia in una pigrizia marina". Come che sia, la coalizione di centrodestra è agguerritissima e la candidatura di Berlusconi lo dimostra: "Quattro giorni prima di compiere gli 86 anni, il leader azzurro prevedibilmente tornerà a occupare in Senato il seggio che gli fu tolto in modo traumatico il 27 novembre 2013. La sua candidatura la dice lunga sullo spirito con cui il centrodestra si prepara alle elezioni anticipate del 25 settembre".
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Giorgia Meloni avverte Forza Italia: «La regola non si cambia: il partito che arriva primo esprime il premier»
Non si vedevano da prima delle Amministrative, in quel vertice di Arcore finito quasi a male parole. Ieri hanno provato, pare riuscendoci, a rompere il ghiaccio, con un incontro a pranzo a Villa Grande. Non è ovviamente bastato a sciogliere i nodi che restano nella coalizione — il maggiore, quello sulla regola per la premiership, l’altro la divisione delle quote di candidature nei collegi uninominali — ma è servito a riprendere un rapporto senza il quale un centrodestra che si sente sulla cresta dell’onda rischia di finire nella risacca. Il tutto in attesa che i temi più spinosi vengano affrontati quando i leader del centrodestra si vedranno anche con Salvini, in una sede istituzionale come pretendeva Meloni e con un «ordine del giorno chiaro, che permetta di uscire dal vertice con decisioni e non parole». Il summit dovrebbe tenersi alla camera mercoledì.
Grillo conferma i due mandati: “Politica come servizio civile, ecco perché sono tutti contro di noi. Questo Parlamento non lo merita nessuno”. E attacca Di Maio
Beppe Grillo rompe il silenzio e lancia ufficialmente la campagna elettorale pentastellata in vista delle prossime elezioni. Con un video pubblicato sul suo blog archivia una crisi che è stata dolorosa anche e soprattutto per il Movimento 5 Stelle, ‘scagionando’ in parte Mario Draghi. E traccia una linea dalla quale ripartire. Con dei punti fissi che negli ultimi anni sono stati messi in discussione da un’ala pentastellata, quella che faceva capo a “Giggino a’ cartelletta Di Maio”: il vincolo dei due mandati “che deve diventare legge dello Stato”. Un meccanismo, quello dei due mandati, definito una “luce nelle tenebre” e simbolo dell’unicità del Movimento nel “vecchio” panorama politico italiano: “Ecco perché abbiamo tutti contro”. Non un semplice attacco a un Parlamento “che nessun italiano si merita, tantomeno Draghi”, ma anche un modo per risolvere quello che è il primo grande spartiacque in vista del voto: rinnovare o meno l’alleanza con il Pd. Questa ‘unicità’ richiesta dal fondatore non sembra lasciare spazio all’idea di una nuova partnership. “L’Italia si merita tante cose e noi non siamo riusciti a farle: mi sento colpevole anche io – dice il fondatore pentastellato facendo quindi mea culpa – Ma abbiamo fatto qualcosa di straordinario: sono tutti contro di noi“. Poi parte con la controffensiva nei confronti delle altre forze politiche e la stampa che ha accusato Conte e il M5s di essere la causa della fine dell’esecutivo Draghi: “Siamo degli appestati. E quando tutti, compresi i bulli della stampa, sono contro di noi significa una sola cosa: vuol dire che abbiamo ragione“.
Luigi Di Maio si è suicidato: quello che non aveva calcolato. Addio...
In un'aula sostanzialmente fredda, l'applauso più intenso e lungo al discorso di Mario Draghi è stato ieri mattina quello del ministro degli Esteri, che gli stava seduto proprio affianco. Il quale, mutuando un'espressione dal dialetto napoletano, si pone, rispetto al capo dell'esecutivo, come una sorta di "vaccariello", cioè come il giovane vitello che sta attaccato ben stretto alla vacca madre che gli dà linfa vitale e forza per entrare nel mondo degli adulti. Nel caso di Di Maio, detto ancora Giggino quasi ad attestarne la non avvenuta maturità, la nuova madre adottiva ha sostituito da un po' di tempo Beppe Grillo, che in qualche gli ha preferito un oscuro avvocato di provincia graziato dalla fortuna.
Draghi ha ridato un senso alla vita di questo giovanotto che solo tre anni fa, già al governo, rincorreva sogni adolescenziali in Francia viaggiando in macchina con Alessandro Di Battista alla ricerca di gilet gialli e rivoluzionari vari. Vuoi mettere tu le feluche e gli esperti della Farnesina, con tutte le porte che, al seguito di Draghi, gli si aprono anche all'estero? Uomo di fede prima, ancor più uomo di fede ora, Giggino ha però voluto strafare.
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È scattato in politica il “si salvi chi può”
La partenza è stata immediata. È stata sufficiente la debole fiducia concessa dal Senato all'esecutivo per aprire le fughe, le cacce al posto, le dimissioni, insomma quelli che, con espressione per nulla piacevole però comprensibile nell'agitato sommovimento della politica, sono chiamati riposizionamenti. Ci si colloca dove si ritiene più opportuno, più gradevole, per qualcuno (pochi, in verità) più idealmente vicino. Succede perfino un unicum: per la prima volta dal 2013 il M5s segna un arrivo, dopo perdite di eletti a decine. Servirà poco, anche per la conclamata incapacità di Giuseppe Conte di reggere il movimento. Ha già destato attenzione l'abbandono di Fi da parte di due ministri: Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Non bisogna stupirsi. Gli addetti ai lavori attribuivano a Mara Carfagna il passaggio al centro, se così vogliamo esprimerci, già due anni addietro, quando ad attenderla era Carlo Calenda, agli esordi con Azione. Non sarebbe una novità: si rammenti Beatrice Lorenzin, azzurra doc, passata con gli scissionisti di Angelino Alfano e progressivamente aperta a sinistra, fino all'elezione nel centro-sinistra (2018) e alla trasmigrazione nel Pd. Anche Andrea Cangini, sostenitore della fiducia a Draghi, lascia i berlusconiani.
Diretta governo, Di Maio: «Area di unità nazionale contro Conte e Salvini». Gelmini: «Mai avrei immaginato Lega e Fi come M5s»
...... «Al di là dei nomi quello che si sta delineando è un'area di unità nazionale che si contrappone sicuramente a Conte e a Salvini, ma anche a una destra che ha scommesso per far cadere questo Governo». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, parlando, con i giornalisti a margine di un incontro all'Interporto di Nola.
«La crisi di governo è stata innescata da Conte e dal M5S ma mai avrei potuto immaginare che Forza Italia e Lega si mettessero sullo stesso livello del M5S nel determinare in una stagione così difficile per il Paese la caduta del governo Draghi. È stato un gesto di assoluta irresponsabilità da cui non ho potuto fare altro che prendere le distanze. Proprio per questa ragione dopo tanti anni di militanza ho deciso di lasciare Forza Italia». Lo ha detto la ministra per gli affari regionali Mariastella Gelmini a Rtl 102,5.
Elezioni, Nicola Zingaretti verso la candidatura. Anche la Regione Lazio andrà al voto anticipato
Le dimissioni del premier Mario Draghi e le possibili elezioni politiche anticipate in autunno potrebbero avere delle ricadute anche sul futuro della consiliatura regionale del Lazio. Le indiscrezioni circolate in questi mesi che vedono Nicola Zingaretti interessato ad una candidatura in Parlamento, con la crisi di governo, sono diventate ancora più insistenti. A placare il clima di incertezza sono fonti interne alla Regione Lazio che escludono un possibile election day con le Politiche. Nel Lazio, dunque, l'esperienza del campo largo targato Pd e che tiene dentro M5s e Azione sembra destinato a resistere e ad andare avanti, con una forbice di possibile voto ricadente tra ottobre e gennaio. In ogni caso «in Regione Lazio- assicurano le fonti - la maggioranza c'è e andrà avanti, non c'è una crisi politica». Inoltre viene escluso un possibile election day con le politiche perchè «una eventuale e possibile candidatura di Nicola Zingaretti in Parlamento non è incompatibile con la sua permanenza. Quindi, la legge gli consente comunque di ricoprire la carica di governatore».
Il primo sondaggio dopo la crisi. Corsa del centrodestra, sorpasso clamoroso
La data delle elezioni politiche è stata decisa: si voterà il 25 settembre e i partiti hanno a disposizione due mesi per presentarsi agli italiani. Sul consenso alle forze politiche è probabile che peserà il giudizio degli elettori sulla crisi di governo. L'ultimo sondaggio, quello che tiene conto di quanto successo nelle ultime ore, è stato presentato nella puntata di giovedì 21 di Zona Bianca, il talk show di Rete 4, La rilevazione dell'istituto di sondaggi Tecné riporta al vertice un testa a testa tra Fratelli d'Italia e Pd, con il partito di Giorgia Meloni che primeggia nelle intenzioni di voto: 23,5 per cento contro il 23,1 del partito di Enrico Letta. Segue la Lega con il 14,6 per cento, poi il sorpasso clamoroso di Forza Italia (10,6 per cento) sul Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che scende sotto la sdoppia cifra: 9,4. Il ticket Verdi con Sinistra italiana vale il 4,1 per cento, poi troviamo le forze che gravitano intorno al 2% come Italia viva di Matteo Renzi (2,8) e Italexit di Gianluigi Paragone (2,5).
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"La fine del Governo Draghi farà bene al M5S. Ma stia a sinistra del Pd". Parla il sociologo del Lavoro, De Masi: "Il ruolo di Conte marginale nella crisi"
Il Governo Draghi è giunto al capolinea. Secondo lei professor Domenico De Masi, sociologo del Lavoro tra i più accreditati in Italia, a chi si devono attribuire le maggiori responsabilità di questa crisi?
“Avendo Mario Draghi la maggioranza assoluta in Parlamento, se non si fosse dimesso, la settimana scorsa, avrebbe potuto tranquillamente proseguire. Dunque è lui la causa della crisi. Nulla gli impediva di continuare”.
Si è trattato di un atto di irresponsabilità lasciare?
“Si vede che per i suoi calcoli e per le sue esigenze personali era la soluzione migliore. Il pallino era tutto nelle sue mani e ha fatto una scelta precisa. Non è più presidente del Consiglio né presidente della Repubblica, quindi le due massime cariche dello Stato gli sono state precluse. In entrambi i casi dal Parlamento. Ma nel caso del Quirinale sarebbe stato felice di esser eletto. Nel secondo caso ha mosso le pedine in modo che questo fosse l’esito. Non solo nel primo discorso ma anche nella replica non ha mostrato alcun cedimento. Ha detto queste sono le mie condizioni se vi piacciono bene sennò arrivederci”.
Lega e FI volevano una rinnovata squadra di Governo senza M5S. Una proposta irricevibile per il premier. A che gioco stanno giocando Salvini e Berlusconi?
“Sul comportamento di Lega e FI fa riflettere il ruolo dei media. Per 5 giorni si è parlato solo dei 5Stelle quando il vero problema erano Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. I media se ne sono accorti mercoledì che il problema non erano i 5Stelle. Un’autentica vergogna. I veri protagonisti della fuga di Draghi sono stati Salvini e Berlusconi, il M5S è stato marginale”.
La strategia di Conte paga. Attivisti e territori sono con lui. In troppi davano per scontato che una volta arrivati al requiem del governo Draghi, il M5S sarebbe scomparso.
A leggere gli articoli e le dichiarazioni dei giorni passati, in tanti, troppi, davano per scontato che una volta arrivati al requiem del governo Draghi, il M5S sarebbe scomparso. Si sarebbe spaccato a metà, vittima di nuovi fuoriusciti (governisti) che avrebbero sconfessato la linea di Giuseppe Conte, condannandolo così all’estinzione politica. In troppi davano per scontato che una volta arrivati al requiem del governo Draghi, il M5S sarebbe scomparso. Ebbene, il giorno della fine del governo è arrivato. Il presidente della Repubblica ha sciolto le Camere e deciso la data delle prossime votazioni (25 settembre). Ma la profezia dei tanti soloni che popolano salotti televisivi e colonne dei quotidiani hanno preso un palo enorme: al di là di Soave Alemanno (Carneade della politica, di fatto ininfluente per i destini pentastellati), nessuno ha abbandonato Conte.
Non l’ha fatto Davide Crippa, non l’ha fatto Federico D’Incà, non l’ha fatto Fabiana Dadone. Piena convergenza con la linea del presidente M5S. Che, c’è da dirlo, è stato aiutato in questo dall’arroganza e dalla saccenza del presidente dimissionario Draghi che, pur potendolo fare, ha preferito non riservare alcuna apertura ai pentastellati. Ed è da questa ritrovata coesione che ora il Movimento vuole e deve ripartire. “Ciò che più fa piacere – spiega una fonte molto vicina a Conte – è che Giuseppe ha ricevuto plausi da tanti attivisti e territori”.
GIORGIA MELONI GIÀ SI VEDE PREMIER. MA SILVIO E MATTEO LE PREPARANO LA FESTA. FATTO FUORI DRAGHI ORA L’OBIETTIVO DI LEGA E FI È LA LEADER DI FDI
Giorgia Meloni già stappa spumante, prepara ipotetiche liste dei ministri, facendole circolare sui giornali, dimostrando così di sentire la vittoria elettorale in tasca. Dalle parti di Fratelli d’Italia, insomma, il voto sembra considerato un passaggio superfluo. La leader già si vede a Palazzo Chigi, ignorando le ambizioni dei suoi alleati-avversari. Certo, a oggi nessuno scommette su una divisione alle Politiche tra i principali tre partiti: saranno tutti insieme, soprattutto per conquistare il maggior numero possibile di collegi uninominali. Ma la competizione interna si annuncia alquanto serrata: Lega e Forza Italia non sono intenzionati a srotolare il tappeto rosso alla Meloni per portarla alla presidenza del Consiglio.
Del resto il regolamento interno, seppure non scritto, prevede da sempre che chi prende più voti, viene sostenuto come possibile premier. Per questo nelle ultime ore sta prendendo sempre più forma l’opzione della “lista unica” forzaleghista per sopravanzare Fdi anche solo di uno zero virgola.
Stipendi d'oro ai consiglieri. Con Gualtieri a Roma riparte la pacchia. Dal Pd alla Lega via libera agli aumenti. Ira M5S: "Altro schiaffo ai cittadini"
I consiglieri capitolini hanno messo le mani nelle tasche del Comune di Roma e si sono riempiti il portafoglio. In Campidoglio infatti è stata appena approvata una delibera che riconosce l’indennità agli eletti in aula Giulio Cesare che vedranno così i loro stipendi aumentare di almeno mille euro netti al mese, passando dai 2mila attuali a oltre 3mila. Si tratta di 2300 euro lordi in più rispetto alla cifra massima raggiungibile con il sistema dei gettoni che invece decade. Dopo il passaggio avvenuto pochi giorni fa in commissione bilancio, la novità aveva provocato non poche polemiche, ma alla fine la delibera è stata approvata senza alcun intoppo. Dei 35 votanti, infatti, gli unici a esprimersi contro il provvedimento sono stati i consiglieri del Movimento 5 Stelle, Linda Meleo, Daniele Diaco e Paolo Ferrara. Tutti gli altri, da destra a sinistra – Partito Democratico, Sinistra civica ecologista, Roma futura, Europa verde, Demos, Fratelli d’Italia, Udc-Forza Italia – hanno votato a favore.
Draghi si è dimesso, Mattarella verso scioglimento delle Camere. Il premier commosso in Aula. Altro strappo in FI, lascia Brunetta. Conte: «Puntavamo su un appoggio esterno, poi è saltato tutto»
Le notizie sulla crisi di governo in diretta. Il Capo dello Stato riceverà Elisabetta Casellati alle 16:30, Roberto Fico alle 17. Il presidente del Consiglio tornerà a Montecitorio alle 12.
• Ieri il governo ha ottenuto la fiducia al Senato e quindi è in carica. Draghi è però salito al Quirinale per dare le dimissioni.
• Mattarella pronto ad accettarle e sciogliere le Camere. In tal caso Draghi resta in carica per il disbrigo degli affari correnti.
•Il premier ha salutato emozionato i deputati: «Anche i banchieri centrali usano il cuore».
• Draghi sulla stampa estera: la preoccupazione dei media stranieri per la caduta del governo.
• Le elezioni anticipate potrebbero tenersi il 2 ottobre o il 9 ottobre.
«Forza Italia si è consegnata a Salvini, consegnando di fatto la competenza rappresentata da un premier come Mario Draghi nelle mani del populismo incoraggiato dal duo Conte-Salvini» . Lo ha detto il leader di Italia Viva Matteo Renzi nel corso di un'intervista radiofonica. «A me questo dispiace e amareggia perché ieri eravamo riusciti in un mezzo miracolo: attraverso le petizioni avevamo raccolto, attraverso le piazze, più di centomila firme (OVVERO LO 0,16% DEGLI ITALIANI). Avevamo convinto il presidente del Consiglio a ritornare sui suoi passi. Invece il personale narcisismo è stato anteposto agli interessi del Paese», ha aggiunto il leader di Iv.
Mattarella “prende atto” delle dimissioni di Draghi: ora il governo rimane in carica per gli affari correnti. Ieri la rinuncia a mediare e la rottura con Lega e M5s
VERSO IL VOTO ANTICIPATO – Resa dei conti finale al Senato (la giornata di ieri). L’intervento del premier doveva essere risolutivo (leggi), invece precipita tutto (leggi). L’ultima replica è la premessa per l’addio (video). Conte: “Sprezzante, volevano cacciarci” (leggi). Commozione nel passaggio a Montecitorio (video).
Draghi sale al Quirinale. Sospesi i lavori della Camera
Draghi alla Camera annuncia le dimissioni: "Mi sto recando dal presidente della Repubblica, per comunicare le mie determinazioni". “Alla luce del voto espresso ieri sera dal Senato della Repubblica, chiedo di sospendere la seduta perché mi sto recando dal presidente della Repubblica, per comunicare le mie determinazioni”. È quanto ha detto, questa mattina (qui il video), il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel corso delle comunicazioni alla Camera sulla crisi di Governo. I lavori di Montecitorio sono sospesi fino alle 12.
Giorgia Meloni ha un problema. Una classe dirigente travolta dal malaffare. Una scia di guai da Milano a Palermo. E se sceglie così i futuri ministri...
Chi le sta vicino racconta che Giorgia Meloni stia già giocando alle figurine per il prossimo giro, ipotizzando un fantagoverno con ministri, sottosegretari e occupandosi con largo anticipo anche delle aziende di Stato dove poter far sedere i suoi fedelissimi. Dalle parti di Fratelli d’Italia, forti dei sondaggi sul centrodestra e della debilitazione del concorrente interno Matteo Salvini, quasi tutti sono convinti che la prossima classe dirigente del Paese sia una cucciolata meloniana e Giorgia Meloni, che non disdegna il potere come tutti i leader, è pronta a distribuire le prebende. L’abilità di scelta della classe dirigente però per FdI continua a essere un problema non da poco se è vero che solo ieri nel Comune di Terracina hanno arrestata la sindaca Roberta Tintari (leggi l’articolo) insieme a due suoi assessori e al presidente del Consiglio comunale. Ma gli arresti che pesano sul partito della Meloni sono sopratutto quelli in odore di mafia.
In Calabria, ad esempio, terra di conquista per FdI, il neo consigliere regionale di FdI Domenico Creazzo è stato arrestato nell’ambito di un’operazione antindrangheta della Dda di Reggio Calabria. Era febbraio. A luglio dell’anno scorso, dopo un altro filotto di arresti, il capogruppo di FdI alla Camera Francesco Lollobrigida aveva dichiarato che “gli anticorpi ci sono e funzionano”. Un mese dopo Giorgia Meloni in Calabria aveva fatto una sorta di “campagna acquisti” e il gruppo di Fratelli d’Italia alla regione era diventato in poche settimane il secondo nel Consiglio regionale, subito dopo quello del Partito democratico. Tra questi spiccava, Alessandro Nicolò, ex berlusconiano, e detentore di un bel gruzzolo di voti nella provincia di Reggio Calabria. Meloni lo aveva sponsorizzato come capogruppo in regione ed era una sorta di fiore all’occhiello della campagna calabra di Fratelli d’Italia. Ma ad agosto la polizia, su mandato della Dda di Reggio lo ha prelevato dalla sua abitazione e tradotto in carcere. Le accusa contestate a lui ed altri indagati sono a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno e tentata corruzione.
Uno Stato fondato sulla poltrona
Non c’è niente da fare: siamo una Repubblica fondata sulle poltrone. Solo per queste, infatti, salta il governo Draghi e con tutta probabilità anche la legislatura. Di fronte all’uscita dei 5 Stelle dalla maggioranza, maltrattati fino alla fine dal premier, l’Esecutivo aveva ancora i numeri e la disponibilità del Presidente del Consiglio per proseguire, facilmente convinto da una presunta richiesta di folle oceaniche di italiani.
A sorpresa, però, Berlusconi e Salvini hanno posto una nuova condizione: far diventare politico un Esecutivo nato per essere di unità nazionale. Una pretesa assurda, perché dai banchi del Movimento si era capito già dal mattino che Draghi con i suoi impegni fumosi sull’agenda sociale avanzata da Conte non aveva convinto nessuno, e di conseguenza avrebbero tolto il disturbo.
Cosa volevano allora Lega e Forza Italia? Semplicemente spartirsi le seggiole, sostituendo i loro stessi ministri scelti da Mattarella e non dai leader dei due partiti, e aumentarle con quelle liberate dal Movimento.
Una prova che tutto era orchestrato sono gli investimenti sui Social tornati a salire negli ultimi 3 mesi
Con due possibili sbocchi: un rimpasto per strappare qualche poltrona in più nel governo, come emerso dalla risoluzione poi ritirata, o tornare alle elezioni. Per carità, tutto legittimo. Ma di sicuro la trama è stata realizzata sotto traccia, visto che nel frattempo Salvini professava lealtà al numero uno di Palazzo Chigi, da porre in essere al momento opportuno con tanto di maldestro tentativo di addossare le responsabilità agli altri. La traccia da seguire è quella degli investimenti, sempre molto massicci, fatti su Facebook e Instagram: in tre mesi la Lega ha speso la bellezza di 44.080 euro, di cui 10.193 soltanto nell’ultimo mese. La pagina persona del segretario, Matteo Salvini, ha messo a disposizione dei post sponsorizzati 18.746 euro nell’ultimo trimestre e più di 4 mila solo nell’ultimo mese. Una macchina di propaganda a pieni giri che ha il sapore della campagna elettorale. E che si è fermata solo nell’ultima settimana, quando è stata aperta la crisi di governo con le dimissioni del premier.
Ma cosa sostenevano i leghisti? Il bersaglio preferito è stata la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, responsabile, secondo i messaggi diffusi a pagamenti sui social, di non gestire gli sbarchi. La titolare del Viminale era accusata, testualmente, di “non fare nulla” sulla gestione dell’immigrazione. Il testo, messo a corredo, non lascia grosso spazio a interpretazioni: “Immigrazione incontrollata oppure regole chiare? E tu, da che parte stai? Assistere allo sbarco di migliaia di immigrati clandestini senza far nulla oppure far rispettare le leggi? Tu da che parte stai?”.
IL DRAGHICIDIO DI SALVINI E BERLUSCONI. UNA MOSSA PIANIFICATA DA TEMPO. LA LEGA HA APPROFITTATO DELLE DIMISSIONI DEL PREMIER. E HA FATTO SALTARE IL BANCO
Una pugnalata che non è arrivata a sorpresa. Ma che è stata frutto di un’operazione ben pianificata. A cominciare dai social. Mentre il Movimento 5 Stelle affrontava la sua battaglia politica, a viso aperto, mettendo sul tavolo delle proposte da avanzare al governo, il centrodestra, con la Lega capofila ha attuato il piano lontano dai riflettori.
Gualtieri non perde il vizio. Copia dalla Raggi pure il Piano Rom. Il sindaco di Roma conferma lo sgombero del campo di Castel Romano
Stai a vedere che sui campi rom aveva ragione Virginia Raggi. Già perché il piano per il superamento di questi insediamenti, lanciato quasi due anni fa dall’ex sindaca tra mille proteste e critiche, è ancora l’unica risposta che ha a disposizione il Campidoglio. Insomma anche con l’avvento di Roberto Gualtieri, il quale non ha fatto menzione di come vuole affrontare il problema neanche nei suoi punti programmatici per i prossimi 180 giorni, la ricetta per chiudere i campi rom resta quella dell’ex prima cittadina. Proprio per questo non cambia neanche la road map degli interventi perché perfino lo sgombero di Castel Romano avverrà, come da programma di M5S, entro il prossimo mese di novembre. A spiegarlo in una nota è il consigliere capitolino pentastellato e vicepresidente della commissione Ambiente, Daniele Diaco, secondo cui “si procederà all’evacuazione delle 128 famiglie che ancora abitano quel campo rom”, come stabilito “dal Campidoglio con la pubblicazione di un bando per reperire enti del terzo settore che accompagnino i 600 ospiti in percorsi di accoglienza e inclusione.
Quarantena con terza dose: cosa fare se positivi o in caso di contatto stretto
Un vademecum per chi ha già fatto il booster anti Covid. Cosa devo fare se ho già fatto la terza dose di vaccino anti Covid ma contraggo il virus? E se sono asintomatico? E se ho un contatto stretto con un positivo? Il Green pass viene sospeso e come lo riattivo? Sono tante le domande che si affollano in questi primi giorni del 2022, soprattutto mentre i contagi continuano a crescere nel nostro Paese. Ecco dunque un vademecum per chi ha già fatto il booster (o completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi) per aiutarlo ad orientarsi tra quarantena, auto-isolamento e tamponi alla luce delle nuove regole fissate dall'ultimo decreto del 30 dicembre scorso.
POSITIVO ASINTOMATICO. Per i positivi asintomatici che hanno già ricevuto la dose booster (o completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi, cioè 120 giorni), la durata dell'auto-isolamento è di 7 giorni. Dopo questo periodo è necessario sottoporsi a un test antigenico o molecolare, l'esito negativo servirà a sbloccare il Green pass. Nel caso in cui il test sia effettuato presso centri privati abilitati, è necessario trasmettere alla Asl il referto negativo, anche con modalità elettroniche.
POSITIVO SINTOMATICO. Per i positivi sintomatici che hanno ricevuto la dose booster (o completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi, cioè 120 giorni), l'isolamento dura invece 10 giorni. Anche in questo caso è necessario un test antigenico o molecolare negativo.
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Tutto ma non il Quirinale: cosa c’è dietro il gioco del silenzio di Draghi sul Colle
Il presidente del Consiglio ieri è rimasto in silenzio sul Colle. Ma la sua candidatura è ancora attuale. E il governo bis è il suo progetto. Però il centrodestra dice di volere Berlusconi. Mentre sogna Moratti. Tutto tranne il Quirinale. «Non risponderò a nessuna domanda sulla presidenza della Repubblica», è stata la premessa con cui il presidente del Consiglio Mario Draghi ha aperto la conferenza stampa sui decreti Covid e sull’emergenza Coronavirus. Rispettata, perché il premier è poi rimasto in religioso silenzio quando i giornalisti hanno provato lo stesso a solleticarlo. Anche annunciandogli che Silvio Berlusconi non intende sostenere un suo governo bis in caso di suo approdo al Colle. Una scelta in evidente contraddizione con l’incontro con i giornalisti di fine anno, quando Draghi invece per la prima volta decise di rispondere alle domande sul tema accettando di fatto la sua candidatura («sono un nonno al servizio delle istituzioni») ma vincolandola al prosieguo dell’esperienza del suo governo. L’ammissione di un errore.
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De Luca ironizza: “Ho visto Draghi camminare sulle acque del Tevere...”
“Se può fare piacere anche la Campania da oggi può dire che va tutto bene, che è tutto aperto, che il Covid è un raffreddore e, se volete, posso anche giurarvi di aver visto il presidente Draghi camminare sulle acque del Tevere”. Lo ha detto Vincenzo De Luca, presidente della regione Campania, ironizzando sullo scontro apertosi con il governo in relazione all’apertura delle scuole. “La mia sensazione - ha aggiunto il governatore, intervenuto a margine di una riunione del consiglio regionale - è che siamo chiamati tutti a dire, da qui all’elezione del presidente della Repubblica, che in Italia va tutto bene, che l’economia è aperta, che le scuole sono aperte e che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Io penso che la lettura della situazione dell’Italia debba essere meno pacificata e un po’ più ragionevole”.
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I Comuni montani senza più tv. Giorgetti domani gli spegne tutto. Pronto lo switch off delle frequenze del nuovo digitale terrestre. Decine di migliaia di italiani a rischio oscuramento
Decine di migliaia di italiani senza nemmeno la possibilità di vedere la televisione. È l’ultimo regalo in arrivo da parte del governo dei Migliori, attraverso la mano di Giancarlo Giorgetti, destinato a intere comunità, che vivono in quei borghi spesso decantati come simbolo del Belpaese. E che, puntualmente all’atto pratico, vengono dimenticati. Lo switch off delle frequenze, previsto domani, sarà una mannaia per i residenti di piccoli Comuni situati in zone montane. MISE DISTRATTO. Il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti non ha ascoltato gli appelli arrivati negli ultimi mesi per evitare che si arrivasse vicini alla scadenza. E dire che molte della aree interessate sono roccaforti leghiste, sparse tra Lombardia, Veneto e Piemonte. Non è una questione esclusivamente settentrionale, ma una fetta consistente è localizzata nel Nord. Come programmato, quindi, i tecnici del Mise provvederanno a disattivare i ripetitori, che pure non sono di proprietà ministeriale.
Stefano Puzzer, il leader dei portuali No vax è positivo: «Ho preso il virus da mia moglie»
L'uomo ha diffuso un video via social: "Non sono felice...". Stefano Puzzer, il leader della protesta al Varco 4 del Porto di Trieste dell'ottobre scorso e poi più in generale della protesta contro il Green pass, è positivo. Lo ha detto lui stesso in un video diffuso sui social in cui afferma di essere a casa già da giorni. «Mia moglie ha fatto il tampone ed è risultata positiva, allora ho fatto il tampone anche io e sono risultato anche io positivo», racconta nei pochi minuti del consueto filmato. Puzzer precisa di «non essere felice» perché, una volta guarito, otterrà naturalmente il Green pass avendo sviluppato gli anticorpi, perché lui il Green pass ce l'ha «dal 15 ottobre».
Mai dire Quirinale. Il giorno delle scuse e della parola tabù
Draghi si è concesso un’esibizione di debolezza come fosse un atto di superbia, ammettendo il logoramento, tra Colle e Covid. Nessun Quirinale, niente. Meglio nessuna parola che tante parole per non dire niente. E però la domanda sul Quirinale non è stata un’assenza, ma una cancellatura, un frego, la traccia di una gomma che Mario Draghi, come il Cristo Cancellatore di Emilio Isgrò, ha strofinato subito sulle bocche dei giornalisti lanciando un’occhiata circolare o meglio, come direbbe Camilleri, una rapida taliàta torno torno: «questa conferenza stampa riguarda soltanto…e io dunque non risponderò».
Pur con qualche nuova ruga attorno agli occhi e con il collo ormai completamente ricacciato dentro al colletto bianco, la conferenza stampa “in difesa”, il catenaccio da “abatino” e il tono dimesso da condannato al patibolo del governare non si addicono a Mario Draghi, che aveva presieduto il consiglio dei ministri il giorno 5 ed è rimasto nascosto al mondo per 100 ore, riunito in conclave, consegnato alle ruminazioni di chi lo accusa di avere perso il tocco. «Non è vero che Draghi non decide» è l’esibizione di debolezza che si è consapevolmente concesso come un atto di vera superbia, ammettendo che logorato lo è davvero dalla vigilia quirinalizia troppo lunga, e con il covid accucciato sotto il tavolo, non come l’angelo della storia di Benjamin, ma come il diavolo della storia: «Avevo sottovalutato le critiche, me ne scuso e spero che questa conferenza stampa sia stata riparatoria».
Non aveva mai parlato così, Mario Draghi.
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Il lockdown affossa l'industria dei preservativi. E il re dei condom si dà ai guanti in gomma
La malese Karex produce un profilattico su cinque: "Negli ultimi due anni l'uso dei nostri prodotti è sceso del 40%". Le chiusure e i distanziamenti pesano più della convivenza prolungata con i partner. E i sistemi sanitari, concentrati sul Covid, hanno interrotto le distribuzioni di massa. L'osservatorio Coop: mercato italiano giù del 10%, il sesso scivola tra le priorità. La convivenza forzata tra le mura di casa non ha acceso l'industria dei profilattici, anzi. Più che il contatto prolungato con i partner ha potuto il distanziamento sociale, che ha abbattuto gli incontri occasionali e gli affari dei signori del condom. Questo racconta la parabola di Karex, colosso malese che produce un preservativo su cinque in circolazione nel mondo, il cui amministratore delegato Goh Miah Kiat ha lamentato al Nikkei Asia di aver subìto, negli ultimi due anni, fino al -40% dell'uso dei suoi prodotti.
Omicron corre, suona l’allarme per i No Vax: “In cinque mesi potrebbero contagiarsi tutti”
I No Vax hanno il doppio delle probabilità di infettarsi rispetto a un vaccinato e corrono quattro volte il rischio corso da chi si è già protetto con la terza dose, dice uno studio targato Cnr, elaborato per la Stampa. E questo significa che se con la variante Omicron oramai dominante al 90% continueremo a viaggiare al ritmo di circa 200 mila contagi al giorno, come – festivi a parte – è stato negli ultimi tempi, da qui a cinque mesi tutti i 5 milioni e 388 mila non vaccinati rischiano di infettarsi.
Niente test né mascherine Ffp2. Flop dei Migliori sulla scuola. Lo dice pure Bianchi: rischio chiusura in due settimane. E la Azzolina va all’attacco: tutto fermo ad un anno fa
Riprese le lezioni a scuola. Certo è che tra assenze, quarantene, genitori che hanno preferito tenere i figli a casa, ordinanze di sindaci e presidenti di Regione (Campania e Sicilia), e anche il Tar (leggi l’articolo), che ha bocciato proprio il rinvio fino a fine mese deciso dal governatore campano Vincenzo De Luca, la scuola riparte, ma a fatica. Senza dubbio. “Sarò sempre favorevole alla scuola in presenza, ma non basta dire ‘apriamo’…”, va alla carica l’ex ministra Lucia Azzolina (nella foto), che aggiunge: “Si facciano delle cose per aprire: sul tracciamento vedo solo annunci, la verità è che siamo fermi ad un anno fa. Per la scuola servono investimenti, avevamo messo 3 miliardi di euro l’anno scorso, quest’anno sono 350 milioni”. Sui dispositivi di protezione ha aggiunto: “Vanno date le Ffp2 a tutti, è surreale sentir dire oggi dal ministro Bianchi che la fornitura di mascherine sarà discussa al prossimo Consiglio dei ministri, non ci si poteva pensare prima?”.
Il Paese è in piena emergenza Covid ma per Draghi e Berlusconi l’unico pensiero sono i giochi per il Quirinale. Ultimatum di Silvio a Mario. Se il premier va al Colle Forza Italia lascia il Governo
Silvio avverte Draghi. Se il premier sarà eletto Capo dello Stato, Forza Italia uscirà dal Governo. E il premier risponde facendo scena muta sul Quirinale. L’Italia travolta dal Covid è ostaggio dei giochi per il Colle del nonno e del bisnonno. Una spinta ulteriore al bis di Sergio Mattarella arriva dal Partito democratico. Ma ancora più forte, seppure indirettamente, è giunta da Silvio Berlusconi, che ha aperto le danze per la Presidenza della Repubblica, preannunciando l’addio all’esecutivo nel caso in cui Mario Draghi dovesse traslocare a Palazzo Chigi. “Forza Italia non si sente vincolata a sostenere alcun governo senza Draghi a Palazzo Chigi, e, nel caso, uscirebbe dalla maggioranza”, ha detto. Quella che è la sua vera autocandidatuta suona come un endorsement all’attuale capo dello Stato. Il motivo è sotto gli occhi di tutti: Mattarella è l’unico profilo capace di tenere insieme tutti. E soprattutto sarebbe la definitiva messa in sicurezza della legislatura, il desiderio che anima la gran parte dei parlamentari di Forza Italia. Proprio mentre Berlusconi agita lo spauracchio delle urne se Draghi va al Colle.
Ritardo record sulla Manovra. Ma solo Conte dava scandalo. Da Italia viva alla Lega, un anno fa tutti protestavano. Ora che si è superata ogni decenza nessuno batte ciglio
Ricorsi alla Consulta, parole infuocate sul rispetto della democrazia, critiche veementi al ritardo record sulla discussione della Legge di Bilancio. In una frase, quella di Matteo Renzi: “Rispetto di tutti i livelli istituzionali”. Sembrerebbe il racconto del risveglio dei partiti nei confronti del governo Draghi, invece è solo il resoconto di quanto avveniva lo scorso anno, con il Conte bis, che effettivamente la Manovra finì per approvarla proprio sul gong. CHI RICORDA? Anche perché di mezzo c’era la seconda ondata della pandemia. Ma soprattutto bisognava fare i conti con le bizze degli alleati di Italia viva, che di fatto stavano già lavorando alla caduta dell’esecutivo. Rendendo il via libera del provvedimento un campo minato. Con l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio, però, leader e parlamentari hanno accantonato la battaglia, legittima e sacrosanta, sulla tutela delle prerogative di Camera e Senato. Perché, stando a oggi, Palazzo Madama non ha ancora licenziato la Legge di Bilancio (qui la sintesi) e sicuramente Montecitorio dovrà votarla dopo Natale, senza nemmeno sfiorare il testo (leggi l’articolo). Ma, tra quelli che in passato si sono stracciati le vesti, nessuno batte ciglio. Basta citare proprio Renzi che, dagli scranni di Palazzo Madama, lanciava frecce avvelenate contro Palazzo Chigi: “Se il governo giallo-verde fa la legge di bilancio in quarantotto ore al Senato, si va alla Corte costituzionale, come hanno fatto i colleghi del Pd nel 2018. Se lo fa il Governo giallo-rosso si sta zitti? Non è possibile”. CREDIBILITà A INTERMITTENZA. L’ex Rottamatore ne faceva una questione di “credibilità”, rievocando anche la mossa dei dem, all’epoca del primo governo Conte, di sollevare il conflitto di attribuzione per la compressione del dibattito parlamentare. Altri tempi davvero: con i Migliori nemmeno si sussurra un’ipotesi del genere. Ma non solo gli italovivi si scatenavano sui tempi della manovra. Lo stesso faceva la Lega, che attraverso Vannia Gava, attuale sottosegretaria al ministero della Transizione ecologica, denunciava la stortura sulla manovra: “Ricordo che è arrivata con ben 35 giorni di ritardo, la stiamo discutendo alla vigilia di Natale e deve ancora fare il passaggio al Senato. In tempi così difficili non ve lo dovevate proprio permettere”.
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