Elezioni, Berlusconi posta il simbolo del Centrodestra sui social
Il centrodestra si compatta sempre di più in vista delle elezione del 25 settembre. Nella giornata di martedì 2 agosto, Silvio Berlusconi sui suoi canali social ha postato il simbolo che vede i nomi dei tre leader del centrodestra. In più, nel pomeriggio si è tenuta la prima riunione del tavolo sulle candidature. “E’ giusto – ha affermato in mattinata a Morning news su Canale 5 Matteo Salvini – presentare agli italiani almeno una parte della squadra di chi guiderà il Paese. Ricordiamoci che ancora non abbiamo vinto. Noi possiamo proporre idee, abbiamo tanti sindaci e presidenti di Regioni. Chiederò a Meloni e Berlusconi i nomi dei ministri più importanti, penso all’Economia”.
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Elezioni, Di Battista attacca Di Maio: “Chi lo conosce, lo evita”
Faremo lo parlamentarie. Giuseppe Conte prova a riprendersi la scena dopo settimane di polemiche, scissioni, e tensioni dentro e fuori del movimento. E invitato alla trasmissione Agorà annuncia che per scegliere i futuri parlamentari dei 5Stelle si faranno le parlamentarie. «Dobbiamo assolutamente farle, è un passaggio che rientra nella democrazia diretta per dare agli iscritti la possibilità di dare indicazioni sulla scelta dei candidati». Poi aggiunge, «ci saranno sorprese, ma non le anticipo». Di certo, sul fronte candidature, «ci saranno delle personalità di grande prestigio e competenza che ci daranno una mano». Fratoianni e Conte? «Con le persone – scandisce l’ex premier – serie che vogliono costruire un'agenda sociale e ecologica con noi c'è sempre possibilità». Quindi, il nodo Di Battista. «Alessandro è una persona seria – dice Conte – che ha dato un grande contributo alla vittoria del 2018. Sul fatto di poter rientrare nel M5S ci confronteremo. Ci parleremo in modo leale, non credo ci possano essere equivoci».
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Silvio Berlusconi, clamoroso: "Tradimento. Non lo voto più", chi lo scarica
"Non so se i milanesi voteranno: come me si sentono in grave crisi, un po’ traditi": l'ex sindaco Gabriele Albertini mette Silvio Berlusconi nel suo mirino, attaccandolo per la decisione di far cadere il governo Draghi. Poi, pur dicendo di aver votato Forza Italia l'ultima volta, oggi la situazione è molto diversa: "È così appiattita su posizioni in cui non mi riconosco, in questa vicinanza a Putin, in questo accordo con una coalizione che ha connotati demagogici e populisti tali da essere invotabile". Albertini, intervistato da La Stampa, ricorre a toni duri anche quando parla del Cav: "Berlusconi era il collante moderato centrista del centrodestra, ma con la caduta di Draghi molti si sono sentiti traditi. È il terzo governo che Berlusconi fa cadere. Questa volta gli hanno fatto balenare la possibilità di diventare presidente di quel Senato da cui era stato fatto decadere. Certo, per lui una bella soddisfazione…". Negativa anche la sua opinione su Salvini, che accosta al fondatore del M5s: "Grillo, Salvini sono stati l’ammiccamento all’onnipotenza dei desideri, piuttosto che alla razionalità. Hanno connotati da demagoghi".
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La truffa della Sinistra è perfetta
Abituati come sono a truffare gli italiani, è normale che i partiti si truffino pure tra loro. Nessuna sorpresa, dunque, per Calenda che obbliga Letta a umiliare Di Maio e Fratoianni escludendoli dai collegi uninominali, perché il Churchill dei Parioli non vuole confondersi con ex 5 Stelle e nemici degli inceneritori, però poi gli va bene ritrovarseli accanto in Parlamento portati al proporzionale dallo stesso Pd con cui si è alleato. O per meglio dire, ha scassinato. Strappare il 30% dei collegi sulla base di sondaggi che vanno dal 3,5 a 6%, infatti, più che un accordo è un furto con destrezza. Che comunque dà l’idea di quanto sappia trattare il segretario dem, ad oggi capace di escludere dalla sua coalizione solo Conte, che in effetti non ha nulla da spartire con questo giro dove potrebbe rientrare pure Renzi.
Per Di Maio il salvagente di un posto nel Pd. Sinistra e Verdi alzano la voce
«Ma ora che fai con loro?». La domanda di Carlo Calenda a Enrico Letta arriva dopo la stretta di mano. Il leader di Azione, incassato il sì alla sua proposta, quella di non presentare negli uninominali né ex forzisti, né ex pentastellati né i leader della «sinistra dei no», chiede al segretario del Pd come farà a rendere digeribile lo schema a Luigi Di Maio, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli. «Me ne occupo io, è una mia responsabilità...», replica il segretario del Pd. E a stretto giro di posta esce un comunicato che è, in realtà, il corollario dell’accordo a due con Azione: coloro che sono incandidabili nei collegi uninominali perché «divisivi» potranno godere, se vogliono, di un «diritto di tribuna» offerto dal Partito democratico. Ovvero, per essere chiari: potranno essere candidati nella posizione numero uno di un listino del Pd in un collegio proporzionale.
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Il M5S sceglierà i candidati attraverso le parlamentarie. Per Conte il Pd è diventato il centro per l'impiego dei voltagabbana
“Le parlamentarie le dobbiamo fare assolutamente: è un passaggio significativo e importante, rientra nei nostri criteri di democrazia diretta e partecipata il fatto di poter dare agli iscritti la possibilità di potersi esprimere, dando indicazioni per quanto riguarda la scelta dei candidati”. È quanto ha detto questa mattina ad Agorà estate (qui il video) il presidente del M5S, Giuseppe Conte. Sul secondo mandato la discussione, ha detto Conte, è chiusa, ma “è chiaro che le persone che hanno realizzato più dell’80% del programma del Movimento hanno dei meriti, esperienze e competenze: troveremo il modo per coinvolgerli, lavoreranno comunque con noi. La cosa importante è lo spirito di comunità: io non voglio i fedelissimi di Conte, voglio solo i fedelissimi del Movimento. La politica deve essere un servizio: nessuno rimarrà lì a coltivare destini personali”.
Roma mi ricorda la Napoli del 2008: dopo l’emergenza rifiuti e i roghi, venne l’inceneritore
“Il tema è che, in quasi tutti gli incendi, c’è di mezzo la filiera dei rifiuti”. Lo ha detto Sabrina Alfonsi, assessora all’ambiente e ai rifiuti di Roma Capitale, dopo il sopralluogo nella zona dell’incendio divampato sabato 9 luglio a Centocelle. Ma di quale filiera dei rifiuti stiamo parlando? Non ci potrà mai essere concordia scientifica, né tantomeno alcuna razionale discussione né sui rifiuti e tantomeno sugli inceneritori in Italia, se non ci decidiamo ad esporre chiaramente a tutti i cittadini italiani che ogni giorno devono preoccuparsi del corretto smaltimento non già dei soli “miseri” 1.1 kg/procapite/die di rifiuti solidi urbani, ma anche di ben circa 10 kg/pro-capite/die di
rifiuti reali complessivi! Senza alcuna tracciabilità certificata a monte che possa indicare con esattezza ed onestà provenienza, percorso e destinazione finale! 10 kg reali di rifiuti complessivi a testa al giorno di cui 1 solo di rifiuti urbani. Eppure ci fanno credere che gli rsu (rifiuti solidi urbani) sono il solo e principale problema. Oggi vediamo anche la Capitale d’Italia, Roma, essere coinvolta nello stesso modo e con le stesse modalità criminali e di disinformazione dell’opinione pubblica, come già più volte accaduto a Napoli nel corso degli ultimi decenni. Ricordo la crisi, la cosiddetta “emergenza rifiuti” del 2008, finalizzata anche alla imposizione senza alcuna ulteriore discussione del maxi inceneritore di Acerra, inaugurato nel 2009 e “regalato” alla A2a dei comuni di Milano e Brescia: un inceneritore che ne vale 9 medi europei e che vede concentrato in un unico territorio (Acerra) quello che in tutte le altre regioni “inceneritoriste” viene ripartito in 7 (Emilia) o ben 13 (Lombardia) impianti.
Termovalorizzatore, il modello Copenaghen è davvero così virtuoso?
Gli impianti trattano di tutto lavorando a pieno carico e l’elettricità prodotta è scarsa e inquinante, ma una pista da sci non si nega a nessuno… Il decreto Aiuti passato al Senato ha attribuito poteri commissariali al sindaco Roberto Gualtieri, per gestire i rifiuti, e lui ha subito annunciato un inceneritore da 600/700.000 tonnellate. Qualcuno sostiene che tratterà i rifiuti indifferenziati senza altro preventivo trattamento, dato che Roma non arriva a produrre una simile quantità di combustibile da rifiuti, non resterebbe che importare combustibile oppure mandare ad incenerimento tutto l’indifferenziato della Capitale, che comunque aumenterebbe lasciando disagio sulle strade e insostenibilità sui siti degli impianti. L’Ue stabilisce che la gestione dei rifiuti deve rispettare la gerarchia dei trattamenti, ma anche dismettere inceneritori, che non possono essere alimentati a talquale, quando non recuperano abbastanza energia e sarebbe questo il caso di Roma.
Ma questa non è la sola criticità e narrazione edulcorata. Continua infatti, con l’impianto di Copenaghen, il viaggio dentro i reali numeri dell’impatto dei tanto decantati impianti di incenerimento rifiuti, usati dal sindaco Gualtieri per sponsorizzare, in modo strumentale, il mega progetto di “termovalorizzatore” di Roma. Numeri e dati ricavati dalle schede tecniche degli impianti analizzate in collaborazione con l’Associazione Salute Ambiente di Albano-Cancelliera. Come funziona quindi il modello “virtuoso” di cui tutti parlano?
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Calenda detta legge nel Pd. E la coalizione di Letta sbanda
Dopo picche e ripicche e schermaglie di giorni e giorni alla fine il matrimonio si farà. Enrico Letta e Carlo Calenda hanno siglato un patto che li vedrà correre assieme alle prossime elezioni. Le liste del Pd e di Azione/+Europa parteciperanno – si legge in questo patto messo nero su bianco – alla campagna elettorale guidate da Letta, frontrunner per i democratici e progressisti, e Calenda, frontrunner per Azione/+Europa e liberali. Ma non sono tutte rose e fiori. E se Letta imbarca nella sua arca Calenda rischia di perdere altri alleati. L’accordo è stato trovato nel nome dell’agenda Draghi e di una spartizione in cui il leader del Pd si è piegato ai diktat arrivati dal leader di Azione. Calenda riesce a spuntarla nella richiesta di non candidare personalità che possano risultare divisive per i rispettivi elettorati nei collegi uninominali.
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E ora il Campo giusto
Ora che Enrico Letta si è accorto che il suo Campo largo dei progressisti somiglia più a un Campo santo, e tenere insieme dai 5 Stelle a Calenda (che neppure ci vuole stare) significa rivedere il film finito male dell’Ulivo, chi ha sfilato? Ovviamente chi c’entrava meno, cioè Conte che con la sua agenda sociale smaschera il Pd, ormai trasformato da forza di sinistra in partito di centro e di potere. Nel M5S qualcuno c’è rimasto male, se non altro per il sostegno dato ai candidati del Nazareno in molte elezioni amministrative, per non parlare delle primarie di coalizione che si svolgono proprio oggi in Sicilia, ma la decisione di Letta e Franceschini è per i 5S un’occasione. Mentre i dem finiscono di tradire i loro elettori santificando l’agenda Draghi, si apre immenso un Campo giusto, cioè quell’area che va da Bersani a Di Battista, dalla sinistra dei valori agli ecologisti veri, fino a De Magistris e chi ha nel welfare, nel pacifismo e nell’ambiente le proprie stelle polari. Il Campo giusto ha un programma già scritto, chiaro e urgentissimo: sono i nove punti posti al premier uscente, che racchiudono nel loro insieme un’idea di Paese solidale, equo e sostenibile.
Le nuove Camere non sono pronte al taglio degli eletti: dopo due anni, mancano ancora i regolamenti
È necessario adeguare le regole sul quorum, sul numero delle commissioni e sul funzionamento dei lavori. Ma non è ancora avvenuto, nonostante la legge sia del 2020. La prossima settimana potrebbe esserci un’accelerazione. Il Parlamento non è pronto per le elezioni anticipate del 25 settembre. Nonostante il referendum sul taglio dei parlamentari risalga ormai al settembre 2020, le Camere in due anni non sono ancora riuscite ad approvare i nuovi regolamenti che servono per far funzionare i due rami del Parlamento in base alla riduzione del 30% di deputati e senatori. Dalla prossima legislatura, infatti, la Camera passerà da 630 a 400 deputati e il Senato da 315 a 200. Quindi è necessario adeguare le nuove regole su quorum, numero delle commissioni e funzionamento dei lavori. Questo non è ancora avvenuto: le Giunte per il Regolamento di Camera e Senato ci stanno ancora lavorando. La prossima settimana, proprio per lo scioglimento anticipato e il voto del 25 settembre, potrebbe esserci un’accelerazione.
A cosa punta Silvio Berlusconi
L'ex premier è entrato in modalità elezioni. Le giocherà in prima persona, candidandosi proprio per entrare in quel Senato dal quale fu cacciato. E vuole la presidenza post-Casellati. L'ipotesi del "diabolico meccanismo" a cui stanno lavorando Lega e Forza Italia. Salvini: "Può aspirare legittimamente a qualsiasi incarico". Stupore all'estero. "Berlusconi è in formissima, sta come un grillo. E si candida certamente al Senato. Lui in genere si esalta in campagna elettorale e questa è la sua nona campagna elettorale". A dirlo è il suo vice, il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani. Che la campagna elettorale verso il 25 settembre sia già abbondamente cominciata lo si capisce dalla promessa di portare tutte le pensioni a 1000 euro. Non proprio una novità nel repertorio, ma il classico segnale che Silvio Berlusconi è entrato in modalità elezioni. Le giocherà in prima persona, candidandosi proprio per entrare in quel Senato dal quale fu cacciato in virtù della condanna per frode fiscale. I suoi già lo vedono eletto presidente di palazzo Madama, successore di Casellati. Dopo il fallimento delle sue ambizioni quirinalizie a gennaio, in tanti pensano che il primo obiettivo di Berlusconi sia il secondo scranno più alto. Lui non conferma, i suoi fedelissimi smentiscono e parlano di insinuazioni "ridicole e offensive. Nessuno ha mai offerto nulla al presidente. E la sua scelta non è stata orientata dalla disponibilità o meno di un qualunque posto".
Cosa succederà al reddito di cittadinanza dopo le elezioni
Fratelli d'Italia, Lega, Italia Viva non hanno dubbi di sorta. Fosse per loro, abolirebbero oggi stesso il reddito di cittadinanza. A difenderlo, nonostante le evidenti difficoltà della fase attiva di ricerca lavoro, ci sono M5S, Pd, Leu: gli scenari. Cosa succederà al reddito di cittadinanza nella prossima legislatura? Cosa ne pensano della misura simbolo di questi anni i partiti che hanno più chance di andare al governo? Se vince la destra, il sussidio rischia di saltare? Tante domande, a cui è difficile dare risposte certe. In primis, va detto che rinunciare al reddito di cittadinanza dall'oggi al domani non è nell'ordine delle cose. Non accadrà, non subito almeno. Nei primi 36 mesi di applicazione, tra aprile 2019 e aprile 2022, il Rdc è andato a 2,2 milioni di famiglie per 4,8 milioni di persone. Secondo Istat, senza il Rdc, il Rem e gli altri sussidi Covid avremmo avuto un milione di poveri in più. In tre anni lo Stato ha speso 23 miliardi per il reddito per un importo di 577 euro al mese in media a famiglia, contro i 248 euro della pensione di cittadinanza.
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Digitale terrestre: problemi in tutta Italia, come risolvere
Secondo quando indicato dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), il programma che dovrebbe portare al nuovo digitale terrestre si è concluso ottimamente. ...... Peccato però che, in concomitanza con il completamento delle operazioni di refarming del digitale terrestre, in diverse zone di alcune Regioni sono cominciati i problemi. L’aspetto che sta preoccupando maggiormente le associazioni dei consumatori è che ciò riguarda anche città importanti come Roma e Bari, per fare due esempi. In pratica, alcuni canali TV non si vedono proprio o vengono trasmessi a singhiozzo. In alcune ore, addirittura, sembra proprio che il digitale terrestre si spenga per poi riprendere successivamente a funzionare. Insomma, si tratta di una situazione difficile. Ma come risolvere questi disagi?
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Davvero senza Draghi perdiamo i fondi europei del Pnrr?
Quanto costerà agli italiani il game over del governo Draghi? Al momento è difficile dirlo, visto che le variabili sono numerose (dai tempi per andare al voto al contesto internazionale), così come gli allarmi che si sono letti nelle ultime ore sui giornali. Alcuni di questi si sono già rivelati infondati. Ad esempio, stamani il Consiglio direttivo della Bce ha approvato lo scudo anti-spread, il meccanismo che dovrebbe mettere al riparo i Paesi dalle speculazioni di mercato legate alle misure anti-inflazione della Banca centrale. Eppure, tanti osservatori italiani negli ultimi giorni avevano avvertito che, senza Mario Draghi in sella al governo, Roma non sarebbe mai riuscita ad far passare il meccanismo, oggi invece approvato all’unanimità. E i fondi Ue? Questa partita è più complessa e per capirla è bene ripassare qualche regola. Innanzitutto, le istituzioni europee sono tenute a trattare allo stesso modo tutti i governi nazionali a prescindere dal colore politico dei partiti che li sostengono. La recente approvazione del Recovery plan della Polonia, guidata da uno dei governi più ostili nei confronti di Bruxelles, ne è stata una dimostrazione. L’addio al governo Draghi certamente non può essere un motivo di riduzione dei fondi Ue destinati all’Italia, ma il discorso si fa più complesso se si guarda al calendario delle scadenze del Pnrr, ovvero il Piano italiano approvato da Bruxelles che dà accesso ai finanziamenti del Recovery fund: 68,8 miliardi di sussidi e 122,6 miliardi di prestiti.
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Ora Conte va all'attacco del Pd
"C’è bisogno di far sapere ora che il M5s durante tutto il periodo è stata la forza più leale all’interno del governo". Lo ha detto Giuseppe Conte in collegamento con l'assemblea M5S di Lamezia Terme ribadendo la teoria secondo cui i 5 Stelle sarebbero stati spinti fuori dalla maggioranza. "Tutti ora vorrebbero scaricare su noi le loro responsabilità e la crisi che si è generata" ha affermato il leader m5s. "Ci hanno voluto mettere in difficoltà scientemente, ci hanno voluto tenere fuori ma noi andiamo avanti. È una campagna elettorale molto impegnativa quella che ci attende, da affrontare con forza, passione e dignità. È importante l’impegno di ciascuno perché solo così riusciremo a realizzare quello che ci siamo prefissati. Parlare ai cittadini e spiegare loro qual è il nostro impegno per chiarire e portare avanti la nostra agenda politica deve essere il nostro obiettivo".
E ancora: "Il coraggio di esserci serve per affrontare un momento delicato per il Paese, noi, come avrete compreso, abbiamo solo mantenuto la linea di coerenza nella difesa degli ultimi" ha proseguito Conte. "Stiamo lavorando, magari commettendo anche degli errori, per mantenere fede agli impegni che abbiamo assunto. La transizione ecologica era il nostro obiettivo da sempre e lo abbiamo difeso, così come abbiamo fatto con le riforme come il reddito di cittadinanza e il Superbonus. Abbiamo realizzato con grande impegno queste nostre misure, grazie all’impegno di tutti i nostri parlamentari che hanno lavorato con impegno nelle diverse commissioni". "Il documento presentato a Mario Draghi ha in sé tutto il cuore, la sensibilità e gli ideali del Movimento" ha detto ancora. "Contiene la diagnosi sulla grave emergenza ecologica e sociale del Paese, è un’agenda che ha da sempre rappresentato il nostro faro".
Marta Fascina, sentenza glaciale su Maria Stella Gelmini. Cosa le scappa davanti ai giornalisti
Marta Fascina in questi giorni di crisi di governo è stata sempre al fianco di Silvio Berlusconi, come visto nel vertice del centrodestra di Villa Grande. Ma la parlamentare azzurra e compagna del premier non aveva parlato pubblicamente. Fino a ieri, giovedì 21 luglio, quando - tailleur giacca e pantalone azzurri e capelli raccolti - è stata intercettata dai cronisti e ha spiegato che Berlusconi "sta bene. Assolutamente, è in forma". Poi le viene chiesto se Berlusconi è dispiaciuto per Mariastella Gelmini? "No, assolutamente", ha ribattuto con un filo di voce che dà la dimensione del clima gelido tra il Cavaliere e la ministra che ha deciso di lasciare il partito (seguita da Renato Brunetta e probabilmente da Mara Carfagna). Berlusconi negli ultimi interventi pubblici non ha nascosto la sua irritazione per la fuga di esponenti storici del suo partito. "Riposino in pace" la battuta tranchant affidata alle interviste.
Meloni: “È ripartita la macchina del fango contro di me e FdI, sono consapevoli della sconfitta”
“Con la campagna elettorale è ripartita, puntuale come sempre, la macchina del fango contro me e Fratelli d’Italia. Aspettatevi di tutto in queste settimane, perché sono consapevoli dell’imminente sconfitta e useranno ogni mezzo per tentare di fermarci. Se ci riusciranno o no, quello dipenderà da voi”. Lo scrive su Facebook la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Sondaggio post crisi di governo: il 70% degli italiani non voterebbe una lista Draghi. La mobilitazione in suo favore? “Una mistificazione mediatica” per il 43%
Un sondaggio realizzato da Termometro Politico tra il 19 e il 21 luglio, presenta un quadro molto distante da quello esposto dal presidente del Consiglio in Senato, e dalla quasi totalità della stampa italiana. Per quanto riguarda le intenzioni di voto, aumentano i consensi FdI e Pd. “Siamo qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, perché e solo perché gli italiani lo hanno chiesto“. Mario Draghi, nel suo discorso mercoledì 20 luglio in Senato, lo ha ribadito con forza. Proseguire e ridare fiducia all’esecutivo era una richiesta esplicita della maggioranza dei cittadini. Appello che non poteva e non doveva essere ignorato, ribadiva la quasi totalità di giornali e tv puntando l’attenzione su manifestazioni pro- premier (non proprio partecipatissime e piene di bandiere di partito), lettere di sindaci e appelli da parte di alcune categorie come quella degli autotrasportatori, con tanto di pagina a pagamento sui giornali. Ma era realmente così? Secondo Termometro Politico, in realtà, il quadro è molto diverso.
Psicodramma al Centro. Da Renzi a Calenda tante sigle e pochi voti. Nella mischia moderata pure Di Maio. Caduto il Governo rischiano l’estinzione
I più spaventati ieri mattina, dopo la caduta del governo Draghi, erano i renziani, nei corridoi del Parlamento. Da fuori esibiscono la loro solita sicumera, con gli account social del partito che menano sberle al Pd, a Forza Italia, alla Lega e al M5S, ma la loro situazione per andare al voto è nera. Matteo Renzi è riuscito a rendersi indesiderato perfino da Carlo Calenda (che pesca nella stessa area). Matteo Renzi in questa legislatura è riuscito nell’ordine: 1) ad abbandonare il Pd di cui era segretario dopo avere accusato gli altri di non dimettersi per farsi il proprio partitino facendosi il suo partitino; 2) è riuscito a urlare al “capolavoro politico” per avere fatto cadere Salvini per poi ripetersi con un altro “capolavoro politico” facendo rientrare nel governo successivo Salvini; 3) è riuscito a rendersi indesiderato da Carlo Calenda (che pesca nella stessa area) e infine a promettere che il Governo Draghi non sarebbe caduto e che gli altri avrebbero perso la faccia. Ma il problema più grave di Renzi e del suo partito personale Italia Viva è sempre quello di non avere voti, essere pieno di ceto politico ma magrissimo negli elettori, come confermano i sondaggi e i risultati delle ultime elezioni amministrative. Chissà che incubo dover uscire da Twitter, dal Parlamento, a scoprire con mano il mondo là fuori.
Salvini ha promesso a Berlusconi la presidenza del Senato: ecco la moneta di scambio usata per mollare Draghi
Silvio "isolato" durante il blitz, lo cercano Chigi e Colle ma il cellulare forse era in mano a Fascina. Glielo hanno promesso, forse anche per giustificare il fatto di averlo lasciato ai margini durante le ore cruciali che hanno portato alla cacciata di Draghi. Ma adesso Silvio Berlusconi ci crede. "A ottobre sarai Presidente del Senato", gli ha assicurato Matteo Salvini subito dopo il blitz. È la moneta di scambio per l'estromissione dell'ex banchiere.
Enrico Letta a Repubblica: "L'Italia scelga noi o Meloni". Le alleanze: lista Pd aperta ai progressisti, ambiente e giovani
La strategia di Letta per il voto: lista del Pd aperta ai progressisti, a cominciare da Speranza, e mano tesa a Calenda e ai transfughi di FI. Il segretario del Pd: "In campo 100mila volontari, anche in agosto. Le priorità del programma: contratto di formazione per i giovani e salvaguardia dell'ambiente". Enrico Letta a Repubblica: Le elezioni un bivio, l'Italia scelga noi o Meloni. Si vince con le idee.
Letta: «La caduta di Draghi? Un suicidio collettivo. La nostra lista aperta si chiamerà `Democratici e progressisti’»
L’intervento del segretario del Pd ospite di Lucia Annunziata: «Siamo molto più progressisti noi del M5S. C’è spazio per un campo aperto. Chiameremo la lista Democratici e Progressisti. Ne ho parlato con Roberto Speranza, Demos, Psi. Vorrei 100mila volontari, li guiderà Silvia Roggiani».
Letta chiude ai 5 Stelle per Di Maio e Calenda ma perde Bersani. Se torna Di Battista e arriva De Magistris, Conte può essere il nuovo Mélenchon
Le manovre vere iniziano domani, dopo avere assorbito la botta per la caduta del governo che nessuno immaginava. A rendere ancora più difficile la costruzione di quello che Enrico Letta fino pochi giorni fa chiamava “campo largo” e che ora sembra un sentiero stretto e impervio, c’è l’estate di mezzo, le liste da fare in agosto e una campagna elettorale che, con tempi così compressi, richiede messaggi comprensibili e veloci. L’intervista con cui Dario Franceschini ha dichiarato finita qualsiasi alleanza con il Movimento 5 Stelle non è stata presa bene al Nazareno. Letta, fino a ieri sera, continuava a ripetere che la decisione spetta agli organi di partito dopo una discussione franca tra iscritti, amministratori locali e parlamentari. La sensazione di tutti comunque è che non ci siano le basi per poter ricomporre con Giuseppe Conte, soprattutto in tempi così brevi: “Loro faranno il gioco degli abbandonati, come fanno da un po’ tempo”, dice un deputato democratico.
"Nell'Agenda Draghi manca il sociale. E abbiamo già dato con quella di Monti". Parla il fondatore di Possibile, Pippo Civati: "Il Pd deve dire se c’è spazio per idee più radicali delle loro"
Giuseppe Civati (per tutti Pippo) ora la politica la fa anche attraverso i libri. Dopo essere uscito dal Pd ha fondato Possibile (di cui è oggi segretaria Beatrice Brignone) e la sua casa editrice, People, oltre ai romanzi pubblica saggi politici e una rivista (Ossigeno).
Civati, quindi tutti in sella sull’agenda Draghi?
“Io ho ancora l’agenda Monti, sono un ripetente. E quello era esattamente lo stesso schema: si fa un governo di emergenza e poi lo si trasforma in un’opzione politica di lungo periodo. Almeno in quel caso c’era Monti in campo, qui non c’è nemmeno Draghi. Mi pare un’operazione difficile e che prescinde dal fatto che la politica si basa sul consenso. Le cose di cui parlare vanno molto più in là di un mandato di governo. Tra l’altro non dobbiamo nemmeno costringerci ad avere un giudizio così immediato su quello che è successo. È stato tutto così emotivo, non si può giudicare una coperta dall’ultimo lembo”.
Ma poi se Draghi era un “governo tecnico”, come può essere riusato per un’agenda politica?
“I governi tecnici non esistono. E infatti il problema del governo Draghi è stato il confronto con la sua maggioranza. È questa abitudine curiosa della politica italiana di voler sospendere la politica, che poi torna sotto vesti peggiori. Dopodiché va fatta salva un’idea che sicuramente aleggiava nella premiership di Draghi che è quella di un riferimento europeo senza distinguo (sappiamo che alcuni negano la Ue come Salvini e Meloni) di un riferimento a un’autorevolezza di cui la politica ha bisogno e anche a un certo rigore dal punto di vista dei conti poiché siamo messi malissimo. Se le prime pagine di un progetto sono quelle allora vanno bene a tutti i democratici ma il resto ce lo deve mettere la politica. È un momento di ritorno a un’elaborazione, a scelte di fondo. Ricordo che prima dell’agenda Draghi andava di moda l’agenda sociale, che è durata molto meno e forse sarebbe da aggiungere, no? Mi pare un tema su cui la sinistra si potrebbe esercitare in questa fase convulsa, ben oltre quello che diceva Draghi”.
Tra la destra della Meloni e quella di Letta c’è vita a sinistra: la terza via sono i 13 milioni di italiani dimenticati dall’Agenda Draghi
Tra la destra di Giorgia Meloni e quella mascherata, finto progressista, di Enrico Letta c’è vita a sinistra? Partiamo dall’inizio. «È precisamente questo che intendiamo, quando diciamo che il Partito democratico è un partito “a vocazione maggioritaria”: un partito che punta non a rappresentare questa o quella componente identitaria o sociale, per quanto ampia possa essere, ma a porsi l’obiettivo di carattere generale di conquistare nel Paese i consensi necessari a portare avanti un programma di governo, incisivamente riformatore».
Il Pd e l’Agenda Draghi. Era l’agosto 2007 quando Walter Veltroni, lanciava la rivoluzionaria idea del Partito democratico. Quel partito a vocazione maggioritaria che maggioritario nel Paese non è mai stato, sebbene abbia governato per una decina d’anni degli ultimi 15 alleandosi praticamente con tutti (tranne l’estrema destra). Ciononostante, oggi i dirigenti del Partito democratico continuano a perseverare nella formula della vocazione maggioritaria per sposare l’Agenda (del banchiere) Draghi, completando così l’opera di distruzione della sinistra italiana avviata a suo tempo da Veltroni e che, dopo la parentesi di Zingaretti, ora Letta ha scelto di portare avanti.
Elezioni anticipate e sondaggi trappola, Bruno Vespa mette in guardia il centrodestra
Le elezioni anticipate sembrano parlare la lingua del centrodestra. La coalizione di Meloni, Salvini e Berlusconi si prepara all'appuntamento del 25 settembre col vento in poppa. I sondaggi sono tutti dalla loro parte ma c'è chi li mette sull'attenti. Non è sempre tutto come sembra. Secondo il conduttore di Porta a Porta le rilevazioni "vanno prese con cautela sia perché non sono sempre giusti, sia perché il 25 settembre è ancora estate e tradizionalmente l'elettore di centrodestra - se non motivato in modo formidabile - si rifiugia in una pigrizia marina". Come che sia, la coalizione di centrodestra è agguerritissima e la candidatura di Berlusconi lo dimostra: "Quattro giorni prima di compiere gli 86 anni, il leader azzurro prevedibilmente tornerà a occupare in Senato il seggio che gli fu tolto in modo traumatico il 27 novembre 2013. La sua candidatura la dice lunga sullo spirito con cui il centrodestra si prepara alle elezioni anticipate del 25 settembre".
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Giorgia Meloni avverte Forza Italia: «La regola non si cambia: il partito che arriva primo esprime il premier»
Non si vedevano da prima delle Amministrative, in quel vertice di Arcore finito quasi a male parole. Ieri hanno provato, pare riuscendoci, a rompere il ghiaccio, con un incontro a pranzo a Villa Grande. Non è ovviamente bastato a sciogliere i nodi che restano nella coalizione — il maggiore, quello sulla regola per la premiership, l’altro la divisione delle quote di candidature nei collegi uninominali — ma è servito a riprendere un rapporto senza il quale un centrodestra che si sente sulla cresta dell’onda rischia di finire nella risacca. Il tutto in attesa che i temi più spinosi vengano affrontati quando i leader del centrodestra si vedranno anche con Salvini, in una sede istituzionale come pretendeva Meloni e con un «ordine del giorno chiaro, che permetta di uscire dal vertice con decisioni e non parole». Il summit dovrebbe tenersi alla camera mercoledì.
Grillo conferma i due mandati: “Politica come servizio civile, ecco perché sono tutti contro di noi. Questo Parlamento non lo merita nessuno”. E attacca Di Maio
Beppe Grillo rompe il silenzio e lancia ufficialmente la campagna elettorale pentastellata in vista delle prossime elezioni. Con un video pubblicato sul suo blog archivia una crisi che è stata dolorosa anche e soprattutto per il Movimento 5 Stelle, ‘scagionando’ in parte Mario Draghi. E traccia una linea dalla quale ripartire. Con dei punti fissi che negli ultimi anni sono stati messi in discussione da un’ala pentastellata, quella che faceva capo a “Giggino a’ cartelletta Di Maio”: il vincolo dei due mandati “che deve diventare legge dello Stato”. Un meccanismo, quello dei due mandati, definito una “luce nelle tenebre” e simbolo dell’unicità del Movimento nel “vecchio” panorama politico italiano: “Ecco perché abbiamo tutti contro”. Non un semplice attacco a un Parlamento “che nessun italiano si merita, tantomeno Draghi”, ma anche un modo per risolvere quello che è il primo grande spartiacque in vista del voto: rinnovare o meno l’alleanza con il Pd. Questa ‘unicità’ richiesta dal fondatore non sembra lasciare spazio all’idea di una nuova partnership. “L’Italia si merita tante cose e noi non siamo riusciti a farle: mi sento colpevole anche io – dice il fondatore pentastellato facendo quindi mea culpa – Ma abbiamo fatto qualcosa di straordinario: sono tutti contro di noi“. Poi parte con la controffensiva nei confronti delle altre forze politiche e la stampa che ha accusato Conte e il M5s di essere la causa della fine dell’esecutivo Draghi: “Siamo degli appestati. E quando tutti, compresi i bulli della stampa, sono contro di noi significa una sola cosa: vuol dire che abbiamo ragione“.
Luigi Di Maio si è suicidato: quello che non aveva calcolato. Addio...
In un'aula sostanzialmente fredda, l'applauso più intenso e lungo al discorso di Mario Draghi è stato ieri mattina quello del ministro degli Esteri, che gli stava seduto proprio affianco. Il quale, mutuando un'espressione dal dialetto napoletano, si pone, rispetto al capo dell'esecutivo, come una sorta di "vaccariello", cioè come il giovane vitello che sta attaccato ben stretto alla vacca madre che gli dà linfa vitale e forza per entrare nel mondo degli adulti. Nel caso di Di Maio, detto ancora Giggino quasi ad attestarne la non avvenuta maturità, la nuova madre adottiva ha sostituito da un po' di tempo Beppe Grillo, che in qualche gli ha preferito un oscuro avvocato di provincia graziato dalla fortuna.
Draghi ha ridato un senso alla vita di questo giovanotto che solo tre anni fa, già al governo, rincorreva sogni adolescenziali in Francia viaggiando in macchina con Alessandro Di Battista alla ricerca di gilet gialli e rivoluzionari vari. Vuoi mettere tu le feluche e gli esperti della Farnesina, con tutte le porte che, al seguito di Draghi, gli si aprono anche all'estero? Uomo di fede prima, ancor più uomo di fede ora, Giggino ha però voluto strafare.
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È scattato in politica il “si salvi chi può”
La partenza è stata immediata. È stata sufficiente la debole fiducia concessa dal Senato all'esecutivo per aprire le fughe, le cacce al posto, le dimissioni, insomma quelli che, con espressione per nulla piacevole però comprensibile nell'agitato sommovimento della politica, sono chiamati riposizionamenti. Ci si colloca dove si ritiene più opportuno, più gradevole, per qualcuno (pochi, in verità) più idealmente vicino. Succede perfino un unicum: per la prima volta dal 2013 il M5s segna un arrivo, dopo perdite di eletti a decine. Servirà poco, anche per la conclamata incapacità di Giuseppe Conte di reggere il movimento. Ha già destato attenzione l'abbandono di Fi da parte di due ministri: Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Non bisogna stupirsi. Gli addetti ai lavori attribuivano a Mara Carfagna il passaggio al centro, se così vogliamo esprimerci, già due anni addietro, quando ad attenderla era Carlo Calenda, agli esordi con Azione. Non sarebbe una novità: si rammenti Beatrice Lorenzin, azzurra doc, passata con gli scissionisti di Angelino Alfano e progressivamente aperta a sinistra, fino all'elezione nel centro-sinistra (2018) e alla trasmigrazione nel Pd. Anche Andrea Cangini, sostenitore della fiducia a Draghi, lascia i berlusconiani.
Diretta governo, Di Maio: «Area di unità nazionale contro Conte e Salvini». Gelmini: «Mai avrei immaginato Lega e Fi come M5s»
...... «Al di là dei nomi quello che si sta delineando è un'area di unità nazionale che si contrappone sicuramente a Conte e a Salvini, ma anche a una destra che ha scommesso per far cadere questo Governo». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, parlando, con i giornalisti a margine di un incontro all'Interporto di Nola.
«La crisi di governo è stata innescata da Conte e dal M5S ma mai avrei potuto immaginare che Forza Italia e Lega si mettessero sullo stesso livello del M5S nel determinare in una stagione così difficile per il Paese la caduta del governo Draghi. È stato un gesto di assoluta irresponsabilità da cui non ho potuto fare altro che prendere le distanze. Proprio per questa ragione dopo tanti anni di militanza ho deciso di lasciare Forza Italia». Lo ha detto la ministra per gli affari regionali Mariastella Gelmini a Rtl 102,5.
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