tracollo ssn 1Numeri impietosi. Negli anni Ottanta si potevano accogliere 530 mila pazienti, 365 mila nel 1992 e solo 191 mila nel 2017. L’emergenza sanitaria innescata dal coronavirus si è tradotta in una corsa disperata ad aumentare i posti letto negli ospedali. Da quattro settimane è partito il piano per aumentare la capacità delle terapie intensive che oggi sono arrivate a 8.370 posti, il 64% in più rispetto all’inizio dell’emergenza. Per dare l’idea della pressione sul sistema sanitario, negli ultimi giorni 59 pazienti sono stati trasferiti dalla Lombardia in altre Regioni del Centro-Sud per evitare il collasso. E questo grazie alla riconversione lampo di 71 ospedali in strutture dedicate solo ad affrontare i malati di Covid-19. Questa corsa mostra i limiti del sistema sanitario nazionale dopo anni di definanziamento (minori risorse rispetto agli stanziamenti assicurati e all’aumento dei prezzi sanitari, che di fatto si traducono in tagli reali). Nell’ultimo decennio, secondo le stime della Fondazione Gimbe, al Ssn sono stati sottratti 37 miliardi (25 solo nel 2010-2015), mentre è aumentata la spesa verso la sanità privata, che però si rivolge a prestazioni più remunerative e mostra tutti i suoi limiti in caso di emergenza sanitaria.

 A rimetterci di più sono stati i posti letto ospedalieri. Secondo il “Rapporto Sanità 2018 – 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale” del Centro Studi Nebo, si è passati dai 530.000 posti letto del 1981 (di cui 68 mila dedicati all’area psichiatrica e manicomiale) ai 365.000 del 1992, dai 245.000 del 2010 fino ai 191mila del 2017, ultimo dato disponibile. In rapporto al numero di abitanti, siamo passati da 5,8 posti letto ogni mille abitanti del 1998, ai 4,3 nel 2007 ai 3,6 nel 2017.

Stando ai dati del ministero della Salute, rielaborati da Anaao Giovani (il sindacato dei medici), nel 2010 l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1.165 istituti di cura, di cui il 54% pubblici e il 46% privati, oggi il numero è sceso a mille unità, ma a diminuire sono state di più le strutture pubbliche (che ora sono il 51,8% del totale) rispetto alle delle cliniche private accreditate (48,2%). Queste ultime dislocate soprattutto in Lazio (124), Lombardia (72) e Sicilia e Campania (58). Sono state le grandi riforme di contenimento della spesa sanitaria del 2012 (governo Monti) e del 2015 (governo Renzi) a portare alla chiusura dei presidi ospedalieri più piccoli, spesso riconvertendoli in strutture alternative: negli ultimi 10 anni si sono creati 2.000 presidi in più per l’assistenza territoriale residenziale e 700 per l’assistenza semiresidenziale, mentre i posti letto diminuivano. Un tentativo malriuscito di efficientare il sistema e consentire assistenza fuori dagli ospedali, anche a causa del gigantesco definanziamento (la spesa sanitaria è inferiore a tutti i grandi Paesi Ue).

Nel 2010 il Servizio sanitario nazionale (Ssn) disponeva di 244.310 posti letto per degenza ordinaria (acuti e post-acuti), di cui il 71,8% (175.417 posti letto) erano in carico al pubblico e il 28,2% (68.893) al privato, 21.761 posti per day hospital (quasi totalmente pubblici) e 8.230 posti per day surgery (l’80% pubblici). Nel 2017, invece, i posti letto sono scesi a 3,6 ogni mille abitanti. In tutto erano 211.593 per degenza ordinaria di cui il 69,5% (147.035) in carico al Ssn, mentre il 30,5% (64.558) al privato (di questi, il 23,3% nelle strutture accreditate), 13.050 posti per day hospital, quasi tutti pubblici (89,4%) e di 8.515 posti per day surgery in grande prevalenza pubblici (78,2%). La Regione con il maggior numero di posti letto era la Lombardia con 8.384, seguita da Lazio (7.168) e Campania con 5.347.

È in un momento di emergenza che vale la pena ricordare cosa è stato sottratto al servizio sanitario, considerato tra i migliori a livello mondiale. In queste pagine leggete una (incompleta) rassegna di un decennio di tagli.

Lombardia
A incassare i soldi pubblici sono gli imprenditori privati

Qui, nella Regione di Roberto Formigoni e poi dei presidenti leghisti, è avvenuta la forma più completa di passaggio dalla sanità pubblica al sistema misto in cui pubblico e privato sono equiparati. Il budget annuo per la sanità è di 19,5 miliardi di euro. A pagare è sempre la Regione, con soldi pubblici, ma a incassare sono sempre di più, di anno in anno, gli imprenditori privati della sanità, tra cui due colossi: il San Raffaele (gruppo San Donato della famiglia Rotelli) e Humanitas (gruppo Rocca). Sono via via diminuite le risorse per gli ospedali pubblici, sono stati chiusi o “riconvertiti” tanti piccoli ospedali, sono più che dimezzati i posti letto. In Lombardia il sorpasso è già avvenuto: la sanità privata incassa più di quella pubblica. Gli ultimi dati del 2017, ancora non lo rilevano, ma già dicono che il privato incamera in proporzione più risorse del pubblico. Su 1,441 milioni di ricoveri, 947 mila (il 65%) sono negli ospedali pubblici, 495 (il 35%) nelle strutture private. Ma il privato incassa 2,153 miliardi di euro sui 5,4 totali (il 40%), contro i 3,271 del pubblico. Dunque il 35% dei ricoveri incassa il 40% delle risorse impegnate dalla Regione.
di Gianni Barbacetto

Veneto
Nel Veronese quasi tutte le strutture dismesse o ridotte

Nel 2013 i posti letto negli ospedali pubblici erano 14.576, di cui 767 di settori altamente specializzati e 240 extra Veneto (per pazienti provenienti da altre Regioni). Nel 2019 sono calati a 14.065 unità, di cui 754 nell’alta apicalità e 85 extra-Veneto. Nelle strutture private sono passati dai 2.942 del 2013 (di cui 487 destinati all’extra-Veneto) a 3.115 (163 in più in totale, di cui 100 posti extra-Veneto). Ma i posti pubblici tagliati negli ultimi 15 anni sono di più. Lo dimostra il fatto che la riapertura da parte della Regione per l’emergenza Coronavirus di 5 ospedali chiusi (e in parte riconvertiti) consentirà di ricavare 740 nuovi posti letto per malati ordinari, tutti in provincia di Verona. Nell’elenco degli ospedali dismessi, ridotti o riconvertiti in passato ci sono anche Malo (Vi), Noventa Vicentina, Asolo (Tv), Dolo (Ve), Piove di Sacco (Pd), Adria (Ro), Bovolone, Nogara e Malcesine nel Veronese. L’ospedale di Santorso, nell’Alto Vicentino, inaugurato nel 2013 con un oneroso project financing (realizzato anche da imprese coinvolte nello scandalo Mose) ha portato alla chiusura (e parziale riconversione) di due ospedali a Schio e Thiene.
di Giuseppe Pietrobelli

Lazio e Umbria
I nosocomi svuotati fanno gola ai palazzinari e manca personale

Sedici ospedali chiusi, 3.600 posti letto perduti e il 14% del personale uscito senza turnover. Sono le macerie della sanità del Lazio dopo 10 anni di commissariamento: Zingaretti ne ha già annunciato l’uscita, ma si attende il decreto del governo. Il piano di rientro si deve agli oltre 10 miliardi di debito registrati alla fine del 2009. A chiudere ospedali storici come il Forlanini – destinato alla Fao – o il San Giacomo, su cui hanno messo gli occhi i grandi gruppi immobiliari, ma anche nosocomi di provincia come Frascati, Marino, Guidonia e Monterotondo. Altri, come il San Camillo, San Filippo Neri e Sant’Eugenio hanno subito ridimensionamenti. In totale, ci sono oggi ci sono 56 strutture aperte contro le 72 del 2011. Oggi il 40% della sanità è composta dai privati convenzionati, mentre oltre 20.000 infermieri arrivano da società interinali e cooperative. In Umbria i conti non tornano da anni, non tanto per il numero degli ospedali quanto per la carenza di personale. Con una popolazione inferiore al milione ci sono due reparti di cardiochirurgia e di neurochirurgia uno a Perugia e uno a Terni in cui lavorano sempre meno persone.
di Vincenzo Bisbiglia

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dall'Articolo di Patrizia De Rubertis  per   InAltoICuori.com  del 31 MARZO 2020

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