sea watch gommone porti sicuri libiaUna società assicurativa certifica: porti sicuri per navi e equipaggi. Gli sbarchi gestiti dall'Oim. Ma le Ong insistono. Sempre l'Italia. Sempre un porto nostrano. Ormai i salvataggi nel Mediterraneo si sono trasformati in un ritornello stanco che si ripete di giorno in giorno, mese dopo mese: le Ong caricano immigrati in area Sar libica, fanno rotta verso il Belpaese, chiedono un "porto sicuro di sbarco" e ignorano sia Tripoli che Malta

La motivazione ufficiale è che Sea Watch, Mediterranea e via dicendo non considerano la Libia un porto sicuro in cui sbarcare le persone. "Ci siamo diretti verso Lampedusa - dice a La7 Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia che è ferma al largo di Lampedusa- perché la Libia non costituisce un porto sicuro e dunque non è un'opzione" e "non importa se l'indicazione è stata data da Tripoli". 

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C'è chi non la pensa così. "Il parere del Consiglio d'Europa conta meno che zero, per quello che mi riguarda", dice Matteo Salvini. "Al di là della discussione sulla Libia ci sono tanti altri porti sicuri. Noi stiamo collaborando con la Guardia Costiera libica, a cui forniamo uomini e mezzi. In alcune strutture libiche ci sono inviati dell'Onu e delle associazioni umanitarie. Non do altri giudizi, se non ricordare che la stessa Sea Watch aveva chiesto alle stesse autorità libiche un porto di sbarco".

Non solo. La Verità ha sentito la compagnia di assicurazione marittima norvegiese Gard, secondo cui in Libia "tutti i porti funzionanti sono da considerarsi sicuri per le navi e i loro equipaggi". Almeno pqe quelle commerciali. Certo, le Ong dicono che poi i migranti tornano nelle carceri libiche, ma pure Salvini ricorda che "in alcune strutture libiche ci sono inviati dell'Onu e delle associazioni umanitarie".

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dall'articolo di   per IlGiornale.it 

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