di maio bugani m5sLuigi Di Maio tace, Gianluigi Paragone e Massimo Bugani parlano. Il primo, si sa, rema contro l’accordo con il Partito democratico: “È un’operazione che serve al Pd”, ha spiegato al Corriere della sera. Ma a fare rumore sono le parole del secondo, storico volto del grillismo delle origini, nello staff del ministro del Lavoro e socio fondatore di Rousseau. Rompe il silenzio in un lungo post su Facebook: “Quello con i Democratici sarebbe un governo della paura”, spiega. E aggiunge: “Se qualcuno ripone le speranze di un nuovo governo nel Pd di oggi, come al solito il Pd è sempre pronto a deluderle tutte”. I bene informati spiegano che l’uomo vicinissimo a Davide Casaleggio pende assai più per l’opzione ritorno alle urne, che non per quella che vedrebbe riscaldare la minestra leghista.

Ma la sostanza non cambia. Ecco un uomo che conosce bene gli ambienti milanesi intorno al figlio del fondatore: “Luigi è in una loose-loose situation: se fa l’accordo con il Pd la base esplode, se ritorna da Salvini non tiene i parlamentari”. Una polveriera. Ed è dal cuore di Rousseau che arriva la conferma: qualunque tipo di strada, qualunque tipo di nuovo accordo, verrà sottoposto al voto della base. Un ulteriore zeppa che si incunea nelle crepe già apertesi tra i rispettivi fronti. Perché tra le condizioni poste dal segretario Pd vi è anche quella della centralità della democrazia rappresentativa e parlamentare. E sottoporre un’eventuale intesa alle forche caudine del voto sul blog è una trappola alla quale i Democratici non hanno intenzione di sottoporsi.

Perché, a leggere i commenti sui social, la base ribolle contro qualunque tipo di patto con “il partito di Bibbiano”, “i poltronari”, “gli uomini inaffidabili e della doppiezza”, e il voto ad oggi si presenta contro un plebiscito contro il Nazareno. E c’è una considerazione di Di Maio che frena mosse azzardate e imprudenti, nonostante con Bugani si ingrossi l’ala di pezzi da novanta (oltre a Paragone anche Paola Taverna, Alessandro Di Battista e lo stesso Casaleggio) che spinge per un ritorno all’antico o per la strada delle urne. Chiudere il forno con il Pd significherebbe riaprire un’interlocuzione con il Carroccio praticamente da zero. Concedendogli la possibilità, in qualunque momento, di far saltare il banco con la scusa che “i no non sono diventati sì”, e tornare al voto come desiderato. Con l’ala vicina a Roberto Fico che smania è si infuria per ogni fuga in avanti che non preveda un accordo a sinistra. Ieri era il turno di Luigi Gallo, oggi è Giuseppe Brescia a tuonare: “Bugani e Paragone facciano silenzio, rispettino il mandato dell’assemblea”.

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dall'articolo di Pietro Salvatori per HuffingtonPost.it 

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