enrico lettaCon Enrico Letta fanno 8 segretari (in 10 segreterie diverse) in 14 anni. Niente male per un partito che doveva rappresentare la virata dell’Italia in senso maggioritario. Magari verso il bipolarismo, alla ricerca della tanto agognata (ma siamo sicuri anche desiderabile?) “stabilità”. Quella che non riescono nemmeno a trovare al loro interno.  Dato politico a parte, con l’ennesimo scossone il Pd non fa alcun balzo in avanti. Ritorna semmai indietro di quasi un decennio. Al 2013/2014, per essere più precisi, quando Enrico Letta sedeva sullo scranno più alto di Palazzo Chigi. Il Pd, insomma, punta sull’usato sicuro. Con una legion d’onore in tasca (concessa da Hollande nel 2016), a confermare – casomai ve ne fosse ancora bisogno – la sua nomea di “partito francese“.

Enrico Letta liquidatore dell’industria italiana

Per delineare la figura del nuovo segretario dem, tuttavia, occorre riportare le lancette ancora a prima. E’ il 1997 ed un giovane democristiano dava alle stampe il libro “Euro sì. Morire per Maastricht“. Quel giovane democristiano era Enrico Letta, che due anni dopo viene nominato ministro dell’Industria nei governi D’Alema prima e Amato poi. E’ in questa veste che sarà presente, il 18 giugno 2000, alla conferenza stampa nel corso della quale si annunciava il termine della liquidazione dell’Iri. Passaggio necessario, fra gli altri, per rispondere ai diktat comunitari e preparare il terreno all’ingresso dell’Italia nella moneta unica. La svendita di un immenso patrimonio pubblico e la deindustrializzazione galoppante sono solo un incidente di percorso. Un sacrificio sull’altare di Bruxelles, con il sacerdote Enrico Letta – una specie di Prodi in sedicesimo – ad officiare la cerimonia.

A morire per Maastricht, però, si continua anche nel biennio alla presidenza del consiglio. Non particolarmente entusiasmante, se non per i tratti comici dell’ormai celebre “Enrico stai sereno” con successivo uccellamento da parte di Matteo Renzi.

I risparmiatori azzerati e i tagli miliardari alla sanità

Iniziamo, nel 2013, con la trattative in sede Ue che portò all’accordo sull’unione bancaria. “Per tutelare risparmiatori ed evitare nuove crisi”, twittava l’allora premier. Com’è andata a finire lo sappiamo bene: l’applicazione (anticipata) delle norme, insieme allo strabismo comunitario sul tema aiuti di Stato, portò alla liquidazione delle quattro popolari (Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti) e al conseguente azzeramento di migliaia di risparmiatori.

Non meglio è andata sul tema oggi centrale, quello della sanità. Se nel corso degli ultimi dieci anni il Ssn ha dovuto fare i conti con circa 40 miliardi di tagli, al governo di Enrico Letta se ne possono imputare quasi un quarto. I numeri non mentono: i posti letto ogni mille abitanti, già falcidiati, nel corso del suo governo hanno proseguito la loro corsa verso il basso. Alla faccia della “salute bene comune globale”.

Articolo di   Filippo Burla  per IlPrimatoNazionale.it 

 

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