gianni gardin by MiglioIntervista a Gianni Berengo Gardin, alle soglie dei suoi 90 anni. "Mi piacerebbe essere considerato non un artista, ma un ottimo fotografo artigiano”. Luci e ombre, riflessi e rimandi continui tra l’occhio del fotografo e la realtà immortalata dalla sua Leica. Attenzione per i dettagli, i gesti, gli sguardi delle persone, gli oggetti - piccoli o grandi poco importa - mostrando sempre al meglio la poesia e la bellezza, la forza, la violenza o l’architettura storica. Le fotografie di Gianni Berengo Gardin (1930) sono state e sono queste: hanno raccontato il nostro tempo e il nostro Paese negli ultimi sessant’anni, hanno accompagnato e a volte costruito una visione. Scatti in bianco e nero in cui c’è il mondo del lavoro con le sue trasformazioni, c’è l’estero ma soprattutto l’Italia con le sue contraddizioni, il nord e il sud, le città e i paesini con molti emarginati e pochi privilegiati. Nel realizzarle, è sempre partito proprio da quell’esterno, dal lontano, per poi avvicinarsi al vicino e al particolare, “un buon percorso per conoscere l’uomo”, come ha dichiarato nel suo libro, Come in uno specchio, edito da Contrasto, che fino al 5 aprile prossimo, sarà anche una mostra presso la sede di Forma Meravigli di Milano, un omaggio particolare al grande fotografo ligure che ha scelto proprio quella come città d’adozione e che il prossimo 10 ottobre compirà novant’anni.

Tanti, tantissimi, i viaggi e gli incontri da lui compiuti nel corso della sua vita. Nella mostra e nel libro troverete proprio quegli incontri con ventiquattro protagonisti dell’arte e della cultura che hanno scelto e commentato una sua fotografia, parole e testi che permettono ancor di più di ragionare sul valore di testimonianza sociale ed estetica che hanno le sue immagini.  

Si intitola “Come in uno specchio”: perché?

 “Perché sono delle foto che ho già esposto a Roma tre o quattro fa. Non sono nuove, sono le mie foto classiche, ma quello che è nuovo è che ognuna è stata commentata da un uomo di cultura italiano, da Renzo Piano a Carlo Verdone, tutta gente che finalmente parla anche di fotografia e la apprezza in genere. Una mostra sì mia, ma che riscatta dall’oblio la fotografia”.

In che senso?

“Penso questo perché la fotografia è indubbiamente una nostra parente povera. In Italia abbiamo troppe opere d’arte belle ed importanti e quindi la fotografia è stata tenuta un po’ in disparte. Non credo nella fotografia come opera d’arte, ma credo nella fotografia come documento. Sono stati pubblicati circa 250 libri sulle mie foto e le stesse tra cento o duecento anni saranno una documentazione importante di come vivevamo nel Duemila. Della foto mi interessa più il suo valore di documento che di arte, perché è stata inventata anche per documentare. Adesso tanti giovani dicono “fotografo artista” o “artista fotografo”, ma secondo me la fotografia deve essere un artigianato. È un fatto di cultura, ma non di arte”.

GIANNI BERENGO GARDIN
Milano, 1986

Lei ha sempre usato la sua Leica, oggi sono in molti a usare i cellulari: cosa ne pensa?

“C’è un’inflazione di fotografie stupide ed inutili, però in certi casi per fare delle denunce importanti avere un telefonino può essere utile, ma devi saperlo usare in modo intelligente e per documentare certe cose, non per farsi un selfie”.

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Lei è stato il primo a denunciare il passaggio delle grandi navi nella città lagunare.

“Sì, sono stato il primo a denunciarlo fotograficamente, ma esisteva già un Comitato Grandi Navi che denunciava questo scempio. Io l’ho fotografato perché per me era un inquinamento visivo; il comitato è andato ad evidenziare gli altri guai che esse procurano, come l’inquinamento atmosferico, lo spostamento della sabbia, il pericolo di incidenti e molto altro”.

GIANNI BERENGO GARDIN
Bacino San Marco, visto da via Garibaldi. Venezia, 2013-2015

Venezia si può salvare?

“Sicuramente, basta fare qualcosa e salvaguardarla. Il Comitato non è che non voglia più le navi a Venezia, ma vuole che facciano un altro giro per arrivare al posto dove arrivano. Non devono passare più per il canale della Giudecca e sul bacino San Marco, ma devono girare esternamente per arrivare allo stesso punto dove arrivano adesso. Ci sono stati grandi architetti come Vittorio Gregotti che avevano fatto proposte che non sono state prese in considerazione. Anche questa cosa per evitare l’acqua alta non so se è una soluzione che funzionerà”.

GIANNI BERENGO GARDIN
Venezia, 1959
 

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dall'articolo/intervista di Giuseppe Fantasia  per HuffingtonPost.it 

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