cinesi prato covid noSono soltanto cento i cittadini cinesi residenti a Prato che sono risultati positivi al Covid dall’inizio della pandemia. In nove mesi la comunità orientale ha totalizzato meno della metà dei casi che Prato registra quotidianamente (ieri erano 231) ormai da tempo. A ufficializzare il dato è l’Asl Toscana Centro che per comprendere meglio il fenomeno, decisamente eccezionale, ha chiesto aiuto al consolato cinese.  Da febbraio scorso tra i 26.000 cinesi registrati ufficialmente all’anagrafe di Prato soltanto 100 persone hanno contratto il virus e fatto ricorso alle cure dell’ospedale nei casi più gravi. Il resto della comunità è rimasto immune, come se attorno avesse una cortina di difesa impenetrabile. Smentita l’ipotesi che i cinesi di Prato da settimane abbiano iniziato una fuga verso la madrepatria per fare ricorso a un vaccino sperimentale, l’unica spiegazione al fenomeno dell’immunità è quella del lockdown applicato alla perfezione.  Ipotesi confermata anche dai mediatori che il consolato cinese ha messo a disposizione dell’Asl per fare da ponte con la comunità orientale. "Abbiamo incontrato il console cinese a cui abbiamo chiesto collaborazione per comprendere meglio alcune dinamiche che osserviamo all’interno della comunità", conferma Renzo Berti, direttore del Dipartimento di igiene e prevenzione dell’Asl Toscana Centro. "Ci sono stati forniti mediatori e garanzie di cooperazione". L’Asl studia il fenomeno cinese grazie all’aiuto delle autorità asiatiche.  La provincia di Prato dalla fine del mese di ottobre è stata continuativamente al vertice della classifica toscana del rapporto quotidiano fra i contagiati da Covid-19 e il numero dei cittadini residenti: un primato dal quale i cinesi sono esenti. "All’inizio della pandemia la comunità orientale è stata molto attenta e si è posta in un lockdown ancora più severo rispetto a quello poi deciso dal governo italiano", prosegue Berti. "Dopo un breve periodo tra luglio e agosto, durante il quale hanno allentato le misure restrittive, si è registrato un piccolo picco di casi tra cinesi. In seguito è partita una nuova stretta con cui la comunità si è nuovamente autoisolata".

Lo abbiamo visto nella prima ondata della pandemia e adesso stiamo assistendo allo stesso fenomeno: pronto moda serrati, niente scuola per bambini e ragazzi, negozi chiusi. Isolati dal resto dei connazionali e dal resto della città: è questa la strategia di difesa dei cinesi che abitano a Prato, dove vive una delle più grandi comunità d’Europa e che ricalca quanto fatto a Wuhan focolaio del virus, oggi Covid-free. Niente vaccino quindi: la la notizia che circola in rete da giorni, viene smentita da più parti.

"Vaccino cinese? Sì, sì in Cina lo fanno ma io non posso andare", dice Paolo Wang, titolare del Caffè Per Bacco di piazza Ciardi. "Dovrei fare un mese di quarantena, impossibile...", sorride e spiega che in Cina la quarantena è doppia: 14 giorni per chi scende da un aereo proveniente dall’Italia e altri 14 giorni appena si arriva nella città di destinazione, nel suo caso Wenzhou, ammesso che con le restrizioni attuali si riesca a salire su un aereo.

In totale si tratta di 28 giorni di quarantena, "troppo tempo, non è possibile fare", insiste Paolo, smentendo le voci che da giorni circolano in città sulla fuga verso il vaccino orientale. Anche l’Asl prende le distanze: "Non ci risultano evidenze correlate al vaccino, secondo quanto analizzato dal dipartimento i pochi contagi nella comunità sono riconducibili ai comportanti molto rigorosi". Attenendosi a fatti, dati e numeri, a salvare i cinesi (e in parte la città) dalla prima ondata di Covid e adesso dalla seconda è l’applicazione scrupolosa, quasi militare, della quarantena.

Articolo di Silvia Bini per www.lanazione.it  da Dagospia.com

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