Incontro Mattarella-Conte. Entrambi d'accordo sulla parlamentarizzazione della crisi. Allarme sui conti. Finito, morto. Cotto. Dunque anche Sergio Mattarella si è «rassegnato»: l'alleanza gialloverde si è rotta, il governo è ai saluti e le elezioni anticipate sembrano inevitabili.  Ma la crisi, che nei fatti è già aperta, resta ancora fuori dal palazzo del Quirinale; sospesa in uno strano limbo di incertezza, non formalizzata, congelata in attesa dell'esito dell'ultimo braccio di ferro, per certi versi aperta a qualunque sorpresa. Matteo Salvini chiede infatti che il premier si dimetta subito e che le Camere vengono sciolte la prossima settimana, Giuseppe Conte invece vuole resistere a oltranza e lo mette agli atti.

«Presidente, ho intenzione di presentarmi in Parlamento. Voglio guardarli in faccia e vedere se hanno la faccia di sfiduciarmi in aula, se hanno il coraggio di votarmi contro e mandare all'aria il lavoro di un anno». Conte sale sul Colle a metà mattina, quando la tempesta sta già infuriando, deciso a stanare Salvini e in cerca di una sponda. «Ero disposto a un rimpasto, a scegliere dei ministri indicati dalla Lega, persino a rivedere il contratto di governo - si sfoga - Lui però adesso pretende la mia testa. Non c'è spazio per ulteriori mediazioni, a questo punto serve un vero dibattito. Ho promesso che avrei informato le Camere e i cittadini in caso di difficoltà e ora intendo mantenere la parola. Secondo me questo è il percorso più lineare e pure il più corretto dal punto di vista costituzionale». Mattarella lo ascolta e non può che essere d'accordo: occorre parlamentarizzare la crisi. E dopo Conte, per fare un po' di chiarezza e abbozzare una specie di calendario, arriva in udienza il presidente di Montecitorio Roberto Fico. In serata Salvini accetta: andiamo alle Camere, ma subito.

Quanto alla data del voto, il capo dello Stato, fanno sapere dal palazzo dei Papi, non sta brigando per annacquare il brodo, non sta lavorando per allungare i tempi. Non ne ha bisogno perché è la situazione stessa che richiede giorni, se non settimane. Le Camere sono state chiuse e dovranno essere riaperte, per far svolgere il dibattito parlamentare, con tanto di discorso del premier, repliche, controrepliche e voto di fiducia. Bisogna spedire i telegrammi, convocare i deputati e i senatori in vacanza, rintracciarli dall'altra parte del mondo, aspettare che rientrino a Roma. Poi convocare le conferenze dei capigruppo per stabilire il calendario. Insomma, altro che Ferragosto: prima di fine mese sembra difficile che la crisi possa essere formalmente aperta.

A quel punto la palla passa al Quirinale. Il capo dello Stato promette consultazioni ultra-veloci, ma insomma, certi passaggi non possono essere saltati. Mattarella, nel caso la rottura venga confermata, dovrà verificare l'impossibilità di rimettere insieme Lega e Cinque stelle, ascoltare tutti i leader di tutti i partiti per vedere se esiste una maggioranza alternativa e alla fine decidere il da farsi. Le idee di Salvini sono piuttosto chiare: ogni giorno che passa è un giorno perso, bisogna ridare la parola agli italiani. La Lega ha fretta: se non si apre la crisi adesso, rischiano di restare impantanati fino al 2020, visto che a settembre è prevista l'approvazione finale del taglio dei parlamentari. Intanto i grillini chiudono all'ipotesi di un governo tecnico. E Mattarella? La sua preoccupazione principale è nota, avere in autunno un esecutivo saldo, capace di varare la Finanziaria che servirà e di evitare l'esercizio provvisorio di bilancio. Calma e sangue freddo, come un anno fa.

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